Un voto per l’ “Ambulatorio Casa Santa Luisa” di Como, il servizio medico per senza fissa dimora attivo presso in via Rezia. C’è tempo fino al 29 marzo per sostenere questa preziosa realtà comasca votando qui. Il progetto più votato accederà ad una fase successiva di selezione e verifica. Il vincitore di questo percorso porterà a casa 15 mila euro.

L’ “Ambulatorio Casa Santa Luisa” da oltre 25 anni è un approdo per quanti non hanno titolarità per accedere alle cure del Servizio Sanitario Nazionale. Si tratta di una realtà nata dal mondo del non profit, in seno alla parrocchia di San Bartolomeo, inizialmente per assicurare assistenza e conforto medico ad anziani soli. Nel tempo il servizio muta e cambia destinatari, allargando la sua utenza a quella fascia di popolazione che vive sulla strada. Uomini e donne che, alle più tradizionali patologie dovute alla vita all’aperto (respiratorie e gastroenterologiche, come bronchiti e problemi intestinali), affiancano spesso anche un profondo disagio psicologico. 25 sono i medici volontari che, a turno, quattro giorni la settimana, vi prestano servizio.

Un’attività che ha dato fino ad oggi numeri importanti, con circa 20 mila prestazioni effettuate. Solo lo scorso anno l’ambulatorio ha incontrato 392 persone (di cui 48 italiani e 344 stranieri) in stato di grave emarginazione. Vi sono stati effettuati 1241 colloqui, 995 visite mediche, sopperito a 513 richieste di farmaci e 143 analisi. Riguardo alla nazionalità di provenienza degli utenti il primo posto è occupato da salvadoregni (79), seguono italiani (48), ucraini (37), marocchini (26), pakistani (25) e nigeriani (24).

Per illustrarci meglio il funzionamento di questo servizio ci vengono in aiuto Giacomo Manfredi, responsabile della segreteria e delle attività del progetto, e Marco Vendramin, l’operatore ASA punto di riferimento dell’ambulatorio.

«Oggi l’attività dell’ambulatorio – spiega Giacomo al Settimanale – è frutto di un lavoro di équipe che vede intrecciarsi diversi attori: da ASCI Don Guanella a Porta Aperta, alle suore Vincenziane, proprietarie dello stabile di via Rezia e che garantiscono la continuità del luogo e delle utenze, alla parrocchia di San Bartolomeo, da sempre attenta e presente nel rispondere alle diverse necessità, anche strutturali, del servizio».

Ma cerchiamo meglio di capire, con Marco Vendramin, come funziona l’accesso all’ambulatorio:

«La persona senza dimora che arriva in città e non ha una residenza all’interno del comune capoluogo o della provincia di Como (il che gli darebbe, di fatto, il diritto ad accedere al Servizio Sanitario Nazionale) si presenta al Coordinamento servizi di Porta Aperta manifestando delle esigenze sanitarie. Dopo un primo filtraggio effettuato dal front office di Porta Aperta, viene indirizzato a me. Mi esprime le sue problematiche, io redigo una scheda medica e fisso un appuntamento perché venga sottoposto alle cure dei medici presenti in ambulatorio. Una volta effettuata la visita il medico mi comunica le eventuali necessità di farmaci o di prestazioni specialistiche».

Non si tratta, com’è ovvio, di un sistema a costo zero. L’ambulatorio vive grazie all’essenziale sostegno di Caritas che, con i fondi dell’8×1000, consente di coprire circa la metà delle spese; aderendo a bandi che via via vengono promossi e grazie all’attività del Banco Farmaceutico la cui raccolta, ogni anno, garantisce circa sei mesi di copertura di farmaci da banco.

La spesa annua del servizio si aggira oggi attorno ai 22 mila euro, prima del 2008 il costo, però, era il doppio. «Nel 2008 – ci spiega Marco Vendramin – all’ambulatorio venne assegnato il Premio Stecca. Questo riconoscimento fece sì che le istituzioni sanitarie si accorgessero di noi. Ricordo bene la data, che segnò un importante cambio di passo nello svolgimento della nostra attività: il 10 luglio 2008 ottenemmo il ricettario per la specialistica, e il 10 luglio del 2009 quello per la farmacologica. In buona sostanza ci venne data la possibilità di prescrivere farmaci e prestazioni specialistiche presso gli ospedali cittadini pagando soltanto il ticket sanitario, e non il loro prezzo pieno. Questo ha rappresentato uno sgravio economico fondamentale nella gestione dell’ambulatorio. Prima del 2008 il progetto costava tra i 40 e i 45 mila euro, oggi con circa 20-22 mila euro riusciamo a condurre con maggiore respiro la nostra attività. Questo ci consente, ad esempio, di garantire continuità terapeutica a chi ne ha bisogno, assicurando cure farmacologiche con maggiore costanza, mentre in passato i costi eccessivi ci imponevano di calmierare le spese».

Grazie alla donazione, qualche anno fa, di un ecografo ginecologico, in ambulatorio possono essere effettuate, due volte al mese, con la presenza di un ginecologo volontario, anche visite ginecologiche preliminari, che permettono di verificare le condizioni delle mamme e dei futuri nascituri. Anche questo è un servizio prezioso che conferisce qualità a “Casa S. Luisa”.

Trovate il servizio completo sul Settimanale della Diocesi di Como.