Quindici domande indirizzate da due sacerdoti della diocesi di Como – don Aurelio Pagani e don Roberto Pandolfi – al Settimanale della Diocesi sulle tematiche riguardanti Amoris Laetitia e, nello specifico, la Nota pastorale per l’attuazione del Capitolo VIII pubblicata dal vescovo Oscar Cantoni.

Separati e divorziati: un percorso di accompagnamento per le coppie in nuova unione

Le pubblichiamo sul numero del giornale in uscita questa settimana accompagnate dalle risposte del direttore don Angelo Riva: un intervento a cui, vista la complessità del tema e la portata delle domande, abbiamo dedicato un intero inserto di quattro pagine.

Di seguito vi riportiamo la prima domanda e relativa risposta. Per il resto vi rimandiamo al giornale che potete trovare nelle rivendite parrocchiali (così come nelle librerei cattoliche del territorio) o nella versione digitale (CLICCA QUI)

Ci può essere misericordia senza verità? Gesù dice all’adultera: “va’ e d’ora in poi non peccare più”! Gesù chiama il peccato peccato e indica l’ideale alto. Misericordia per il passato e, nella verità, proposta per il futuro. Ma il peccato resta tale. (cfr. Dir. Past. Fam. 193-197).

La risposta di don Angelo Riva:

«Cominciamo da questo quesito, perché è quello fondamentale. Si può capire Amoris laetitia (AL), e la nuova disciplina sull’accesso ai sacramenti da parte dei fedeli divorziati risposati, solo partendo da una teologia della misericordia. San Giovanni Paolo II la volle come sintesi di tutta la storia della salvezza (l’abbiamo ricordata proprio in questa domenica di Pasqua).

I due Sinodi sulla famiglia, a partire dalla relazione introduttiva del cardinal Walter Kasper, l’hanno respirata a pieni polmoni. È da essa che si evince che non può esserci corto-circuito fra verità e misericordia, in quanto esse agiscono su due piani distinti (benché non separati). La verità ha a che fare con il «bene assoluto» (AL lo chiama «l’ideale evangelico») e il suo splendore cristiano («veritatis splendor»).

La misericordia ha a che fare con il «bene possibile», cioè con il cammino storico dell’uomo verso il bene assoluto, inevitabilmente segnato dalla fragilità e dal limite, oltre che dall’azione della grazia.

In questo cammino – e si tratta evidentemente di una tensione (non, quindi, di uno stare fermi); e di una tensione verso il bene assoluto («benchè suoni ovvio…deve condurre sempre più verso Dio», Evangelii gaudium 170) – la misericordia di Dio si svela come potenza materna: cioè come potenza rigeneratrice di nuova vita, suscitatrice di nuove strade di salvezza (il vocabolo biblico “misericordia” allude appunto alle viscere materne). Spesso l’uomo perde la bussola e finisce fuori strada. Ma Dio dimostra la forza straripante del suo amore misericordioso perché sempre sa inventare nuove vie di ritorno, di ricominciamento e di crescita. Partendo proprio dai cocci di un’esistenza andata in frantumi.

La misericordia di Dio illumina, accompagna e fa crescere “dentro” i limiti della vita, e “attraverso” le fragilità. Verità e misericordia appaiono così distinte e complementari: la prima è metafisica (benché, ovviamente, possa essere detta solo in termini e attraverso linguaggi storici), la seconda è storica; la prima è paterna, la seconda materna; la prima crea, indica e insegna, la seconda ri-crea, discerne e accompagna.

Nessuna possibilità, quindi, di intendere la misericordia come semplice indulgenza, svendita in saldo, lassismo. Nel suo radar c’è sempre il faro della verità, poi il suo compito è di essere fiaccola che discerne il passo possibile verso la verità lumeggiata dal faro. Va da sé che il «bene possibile» dovrà essere comunque un bene, e mai un male. La scelta di un male minore, in luogo di un male maggiore (per esempio: ruba, ma almeno non uccidere), potrà valere solo come prima ma insufficiente forma di responsabilità, perché rimane comunque al di sotto della soglia minima della moralità e del bene (bonum ex integra causa, malum ex quocumque defectu). La misericordia, quindi, è l’arte del «bene possibile», ma non del «male minore».

Mi sembra di percepire ancora una diffusa inconsapevolezza su questa «teologia della misericordia» – che ho cercato molto approssimativamente di tratteggiare – di san Giovanni Paolo II e oggi di Francesco. Quasi si trattasse di un banale sermone buonista. Essa invece è il perno di tutto. È chiaro che, se si fa confusione su questa teologia della misericordia, non si capisce più niente, non dico di AL o della Nota del Vescovo, ma di tutto il magistero dell’attuale Papa».