In occasione della Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni che si celebra oggi in tutto il mondo rilanciamo l’intervista rilasciata all’Agenzia Sir dal “nostro”  don Michele Gianola, da pochi mesi direttore dell’Ufficio nazionale Cei per la pastorale delle vocazioni.

Perché è stato scelto lo slogan “Dammi un cuore che ascolta”?
È una scelta in stretta consonanza con la prospettiva del Sinodo dei Vescovi: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” è il duplice invito per la preghiera di oggi.

La scelta di vita, infatti, si realizza nell’ascolto del proprio cuore, alla ricerca dei desideri più veri e profondi che il Padre stesso vi ha nascosto, perché la sua volontà sia anche la nostra.

Si realizza nell’ascolto della propria storia, in quel quotidiano mai banale che diventa lo spazio reale dell’incontro con il Signore.

Si realizza nell’ascolto della Parola che svela passo dopo passo la nostra identità più vera, la nostra volontà più profonda, la nostra vocazione. Ma la medesima preghiera può abitare anche la voce di chi accompagna ogni discernimento vocazionale.

Un cuore che ascolta il racconto di un giovane o una giovane alla ricerca dell’orientamento da dare alla propria libertà per tutta la vita è come un orecchio teso a riconoscere tutte le sfumature dell’azione dello Spirito che plasma pensieri, sentimenti e azioni nel progressivo compimento dell’opera più importante della vita, la costruzione della vita stessa perché sia “sprecata” insieme al Figlio per la vita del mondo.

Negli ultimi dieci anni rilevati, si è registrata una flessione dei seminaristi a livello nazionale di circa il 12 per cento. Vede un’inversione di tendenza all’orizzonte?
La Giornata di preghiera per le vocazioni è un’occasione annuale per la preghiera per tutte le vocazioni. Non soltanto quelle al presbiterato ma anche alla vita consacrata maschile e femminile, al matrimonio e al laicato. Il dato della flessione del numero dei seminaristi non ci deve preoccupare, preoccuparsi non è un modo evangelico di affrontare la vita.

Semmai può essere ancora una volta lo stimolo perché ci occupiamo di coltivare il grano buono che cresce, la fecondità della vita e delle scelte, possiamo guardare ai giovani non in generale o come un problema ma imparare ad annunciare loro la bellezza della vita come vocazione, della scelta della sequela di Gesù, della decisione per una vita da spendere a servizio di qualcuno, nella propria missione per la vita del mondo.

Quali strategie vuole adottare la Chiesa italiana per stimolare le vocazioni?
La vocazione ha a che fare con la vita, e la vita non risponde alle logiche della tecnica. Non ci sono strategie da attuare, problemi da risolvere, non dal punto di vista ingegneristico, non è così che si trasmette la vita. La vita si trasmette attraverso l’amore, fatto di gesti concreti, reali, non in teoria ma nelle connessioni che si creano tra esseri umani attraverso le Parole e i Gesti capaci di comunicare e condurre nella comunione di Dio. Nessuno da solo, tutti membra dell’unico corpo che è la Chiesa, capace di accogliere e integrare, di guarire, consolare, condurre, risvegliare, rinnovare.

Le vocazioni – al matrimonio, alla vita consacrata, al ministero, al laicato – vengono tutte dall’incontro con il Signore Risorto, quella è l’unica fonte. Le vocazioni non possono essere stimolate dall’esterno, non esiste una fecondazione artificiale, l’unica loro sorgente è divina.

Per questo tocca pregare, invocare lo Spirito perché la vita di Dio venga disseppellita dai cuori che già abita, quelli di tutti gli uomini, perché ciascuno riconosca a cosa il Signore lo sta chiamando, per compiere la sua missione.

* Foto di copertina (Siciliani-Gennari/SIR)