L’alcolismo è un male che avvolge la famiglia, come una nebbia oscura. Rende l’aria rarefatta, irrespirabile. E chiunque condivida l’esistenza o la vicinanza con un alcolista si trova a vivere in uno stato di continuo e profondo disagio. Di ansia, perché non si sa mai se, quando e quanto l’alcolista berrà. Di paura, perché potrebbe essere violento. Di vergogna, perché si teme il giudizio altrui. E di grande solitudine.

I percorsi che portano ad uscire da questa palude sono distinti, a seconda che a imboccarli sia lo stesso alcolista o i suoi familiari, amici, conoscenti. Per questo distinte sono le realtà di mutuo-aiuto che offrono supporto a chi cerca luce tra le nebbie.

Alcolisti Anonimi (AA) è un’associazione di uomini e donne che mettono in comune la loro esperienza, forza e speranza per risolvere il loro problema comune e aiutare altri a recuperarsi dalla dipendenza da alcol.

I Gruppi familiari Al-Anon (di cui è parte anche Alateen per i minori) sono un’associazione di familiari ed amici di bevitori problematici, che si riuniscono per condividere esperienza, forza e speranza allo scopo di risolvere il problema comune.

In particolare la realtà di Al-Anon è nota agli amici del Settimanale, di cui sovente proponiamo l’attività e l’impegno di sensibilizzazione sul territorio e nelle scuole, spesso condotta in collaborazione con AA. La partecipazione ai gruppi Al-Anon (nel comasco sono presenti in città in via Valleggio, a Rebbio, a Cantù, a Erba) è libera e gratuita, vi si può accedere indipendentemente dalla scelta di recupero dell’alcolista. L’unico requisito per farne parte è quello di avere un parente o un amico per cui l’alcol è diventato un problema. «Seppur in modi diversi – spiegano i volontari di Al-Anon – chi vive a contatto con un alcolista ha bisogno di recupero tanto quanto chi ha il problema con l’alcol, e quando sarà riuscito a trovare una certa dose di equilibrio avrà anche l’opportunità di svolgere un importante ruolo nell’agevolare il recupero dell’alcolista».

Ammettere di essere impotenti di fronte all’alcol, e di non poter più controllare la propria vita. È questo il primo dei 12 passi del cammino di chi sceglie di affidarsi ad Al-Anon.

Ed è una vera e propria rinascita quella che hanno avuto l’occasione di vivere molti familiari o amici di alcolisti che ci hanno provato. Il condividere lo stesso dramma, pur con caratteristiche e sfumature diverse, aiuta i protagonisti dei gruppi a ritrovare il filo perduto della propria vita, e a ricostruirne i pezzi.

Ogni storia è diversa ed uguale. Ma chi ce l’ha fatta non smette di testimoniare che, anche quando il buio è più fitto, occorre cogliere lo spiraglio di luce ed infilarcisi, fino a quando sarà la stessa luce a prendere il sopravvento.

Questa volta vi proponiamo la testimonianza di Michela (il nome è ovviamente di fantasia), che ha accettato di condividere con noi il suo percorso.

Come cogliere i segnali che qualcosa non va, che non si sta vivendo una situazione normale e forse è il tempo di chiedere aiuto a qualcuno?

«Il primo campanello d’allarme, così è stato per me, è la sensazione di disagio, poi la rabbia. Noi in Al-Anon pensiamo di essere le vittime dell’alcolista, ma anche lo stesso alcolista si sente vittima delle pressioni di chi è attorno a lui. Ecco allora che in famiglia si genera una situazione in cui ognuno si sente colpevole e vittima dell’altro. Questo perché non c’è comunicazione. Solo una volta che si è maturata la consapevolezza della presenza di un problema, e il familiare inizia a lavorare su se stesso, ecco che l’alcolista può rendersi conto che c’è qualcosa che non va. E molti trovano la forza di chiedere aiuto».

Lei come si è imbattuta nell’alcolismo?

«Io non mi sono resa conto molto presto di che cosa fosse l’alcolismo perché associavo l’alcolista alla figura del barbone. Nel mio Paese d’origine, essendoci un clima molto caldo, bevono tutti, ed io non immaginavo che questo potesse causare dei problemi. Mio papà era un bevitore, ma nonostante questo non aveva mai perso il suo lavoro e a casa non ci era mai mancato nulla. Quando però rientrava il pomeriggio e iniziava a bere in casa aleggiava una strana tensione. Apriva il frigorifero e sospirava, come se attendesse quel momento da tutta la giornata, ed ogni cosa ruotava attorno a lui. Se volevamo andare da qualche parte, o c’era il modo di portare la birra, o non si usciva perché lui doveva bere. Questo mi creava disagio, ma ancora non mi rendevo conto del suo significato. Poi sono uscita di casa mi sono sposata. E anche mio marito era un bevitore, ma mi ci sono voluti degli anni per accorgermi che non era quella la normalità. Ed ecco che, pian piano, tornava a farsi largo quella sensazione di malessere… In casa sembrava di camminare sulle uova, si prestava attenzione a non farlo arrabbiare, raccomandavo ai bambini di non dire cose che lo disturbassero, altrimenti forse avrebbe bevuto di più… Ad ogni modo, fino a quando mio marito non incominciò a bere tutto il giorno, dalla mattina alla sera, non mi fu chiaro di quanto davvero questo fosse un problema. A quel punto iniziai ad avere consapevolezza che da sola non averi potuto farcela. Avevo provato a parlargli, a buttare le bottiglie, a pregare, a piangere. Senza che però nulla fosse risolutivo. Anzi più parlavo del problema più lui beveva. Scoprii quali atteggiamenti assumere nei suoi confronti navigando sul sito degli Alcolisti Anonimi: vi trovai una lista di che cosa non fare con un alcolista, e come invece agire per aiutarlo. Non nascondere le bottiglie… Non rimproverare… Fino ad allora mi ero sempre detta Ma se non faccio qualcosa lui di certo peggiorerà... Solo col tempo ho capito che è invece proprio questo l’atteggiamento giusto. Il mio agito mi portava invece a tenerlo a galla, per permetterci di continuare la nostra vita quotidiana. Io sostenevo tutto, e poi mi lamentavo con lui per questo, senza lasciarlo arrivare al punto che si rendesse conto della nebbia che ci aveva avvolto. Seguendo le indicazioni di Alcolisti Anonimi ho pian piano lasciato che tutto venisse fuori. Se lo chiamavano dal lavoro era un suo problema, se arrivava in ritardo per un impegno era un suo problema, se dimenticava i documenti per un impegno era un suo problema… Fino a quando non ho smesso di rimproverarlo e di coprirlo non si è reso conto che qualcosa non andava. Così, pian piano si è avvicinato ad Alcolisti Anonimi, ed ha saputo rimettersi in corsia. E dopo tre-quattro mesi è tornato a rivedersi qualche spiraglio di luce. Questa situazione, allo stesso tempo, ha portato me in Al-Anon. I gruppi di Como mi hanno accolto e cambiato la vita. Quando vi sono arrivata pensavo di ottenere indicazioni e suggerimenti su come far smettere di bere mio marito. Sentivo le testimonianze degli altri e mi dicevo ma no, io non sono così… Avevo l’idea che, avendo assunto le redini della famiglia per non farlo cadere, potevo cambiarlo. Questo mi aveva invece portato a rischiare di compromettere la relazione con i miei figli. Solo l’incontro e il continuo scambio di esperienze all’interno dei gruppi mi ha invece aiutato a capire qual era la strada da compiere. Ed oggi il clima in famiglia è cambiato, si respira serenità e fiducia. Certo occorre vivere giorno per giorno, ma la luce è più forte che mai».

Ricordiamo che i gruppi familiari Al-Anon condividono le loro esperienze in modo anonimo e gratuito. Per saperne di più: 800 087 897, www.al-anon.it.