Una chiesa gremita, la collegiata dei santi Gervasio e Protasio di Sondrio, ha tributato questo pomeriggio l’ultimo saluto a Milly Gualteroni, giornalista da trent’anni, collaboratrice anche del nostro Settimanale, scomparsa tragicamente sabato scorso a causa di un incidente domestico.

Un’esistenza, la sua, ricca di soddisfazioni, successi, ma anche di grandi difficoltà, in famiglia, negli affetti. Una vita “strappata all’abisso” raccontata, senza riserve, in un libro-testimonianza di grande intensità: “Strappata all’abisso – Dagli psicofarmaci alla fede” da cui, pagina dopo pagina traspare la consapevolezza del coraggio con cui ha affrontato il suo cammino.

Noi vogliamo salutarla con le parole del nostro direttore, don Angelo Riva, pubblicate sul numero di questa settimana del nostro Settimanale. Ciao Milly, buon viaggio.

Cara Milly, ciao. La lunga battaglia per te è finita. Adesso c’è solo quel riposo di luce e di pace che il tuo animo sensibile, combattivo ma a disagio fra le ruvide asperità della vita, ha lungamente sospirato. Finalmente il Signore ti cingerà nell’abbraccio senza fine, irradiando gioia e consolazione sulle ferite delle tue inquietudini.

Se penso a te, mi suona davvero impervio il gergo livido e truce della «battaglia». Tu così minuta, uno «scricciolo di donna» tanto tenue e leggera, che si muoveva come ricamando l’aria, con la stessa delicatezza della penna con cui vergavi il foglio bianco. Eppure proprio il gergo bellico è così drammaticamente consono a descrivere il tuo percorso di vita. Una lotta aspra. Non tanto per venire a capo dei tuoi complessi intrecci affettivi e relazionali, o per affermarti a livello professionale (qui il tuo talento finiva per bastare). La lotta è stata contro il nemico oscuro. Quel «male di vivere» che grava come una cappa buia sull’anima, rende pesante l’aria, e opaca la realtà. Hai vissuto la depressione. Vivendola, hai saputo descriverla, con maestria impareggiabile. Descrivendola, ti sei fatta voce e samaritana di tante fragilità nascoste. Senza il tuo libro, oggi saremmo tutti più poveri. Il «male di vivere» tu lo hai guardato bene in faccia, e lo hai inchiodato con una minuziosa descrizione, con la tua prosa graziosa e fluente, fatta di tocchi leggeri e profondi, tenui e verticali. In tanti si sono ritrovati nei tuoi scritti, e ne hanno tratto uno slancio di speranza. Se li incontravi, poi, era per te naturale comprendere, empatizzare, compatire, incoraggiare.

Quando il «male oscuro» conficca il suo pungiglione, è come un peso cosmico di angosce e tristezze che grava sul cuore, una piramide rovesciata che punge acuminata sulle giunture dell’anima, e le fa sanguinare. Ma tu non ti sei data facilmente per vinta. Sembrava tanto impari la lotta, per uno «scricciolo di donna» come te, opposta alla mole greve e aguzzina del nemico oscuro. Come il piccolo Davide di fronte al gigante Golia. E invece tu hai sfoderato le unghie, la tenacia, la resilienza. La tua penna di scrittrice come fionda novella. E soprattutto la fede nel Signore, ritrovata con stupore e meraviglia dopo mille peripezie e acrobazie esistenziali. La fede che a volte ci appare una porta girevole, varcata così per caso, ma che ha il potere di ributtarci fra le braccia del Salvatore. Questo scrivevi, questo raccontavi, e noi ti ricorderemo sempre così.

Al Settimanale ci sei arrivata – anche qui – dopo un lungo giro. Che ti aveva portato per il mondo, dalla «Milano da bere» degli anni ’90 fino a importanti corrispondenze dall’estero. Scrivevi benissimo, con la tua prosa asciutta e ficcante, l’andamento placido e lineare, ma sempre incisivo sui contenuti. Al Settimanale sei entrata in punta di piedi, con l’umiltà che faceva ancor più risaltare il tuo spessore di giornalista e la tua stoffa di narratrice. Ci hai regalato pagine bellissime, ma più ancora il senso di un’amicizia, di una vicinanza sensibile e delicata, com’era nel tuo stile. Ci confidavi le tue gioie e i tuoi crucci per il mondo d’oggi, per la Chiesa, per i sacerdoti, per i giovani. Sempre col tuo sorriso lieve e trattenuto, che tradiva un fondo di timidezza e una sensibilità acuta, e mescolava la naturale bontà con un sottile velo di malinconia. Sulle questioni della fede eri un diamante grezzo: tagliavi il vetro con il nitore dell’intransigenza, ma poi sapevi lenire ogni asprezza con tenerezza di donna.

Cara Milly, adesso l’ultima pagina per te è stata scritta. Ma mentre si chiude il libro della vita di quaggiù, si apre per te il libro della vita eterna, nell’incontro con quel Signore che hai tanto amato e cercato, bramato e sofferto, invocato e goduto. «Scricciolo di donna», hai combattuto la buona battaglia, hai terminato la corsa, hai conservato la fede. Sarai sempre con noi. 

Milly tra don Angelo Riva e Vittorio Messori durante una presentazione del suo libro