Si chiama “Bethlem” ed è arroccata alla periferia di Yerevan, la capitale dell’Armenia. È la comunità delle “Suore di Madre Teresa” dove, fino a due anni fa, la responsabile era suor Benedetta Carugati, di Olgiate Comasco.

Sembra quasi impossibile ritrovare un po’ della propria diocesi a otto ore di aereo… «Non ho scelto io, è il Signore che manda», sorride suor Benedetta. Questa casa, come altre, è frutto di un voto fatto personalmente da madre Teresa alla Madonna: riuscire ad aprire, nei Paesi dell’Unione Sovietica, almeno quindici comunità delle sue suore. Una per ciascun mistero del Rosario.

«Lei li chiamava tabernacoli», ci spiega suor Benedetta, rientrata a Yerevan da Spitak (nel Nord dell’Armenia, ad almeno 3 ore di auto, dove le suore hanno un centro di accoglienza per disabili adulti), per incontrare il “suo” Vescovo e i “suoi” amici di Como.

«Ci furono due occasioni, per Madre Teresa, di entrare in Unione Sovietica – riprende la suora -. Un festival del Cinema, a Mosca, dove venne presentato un documentario su di lei (che tra l’altro vinse il premio della giuria) e il terremoto del 1988».

Madre Teresa è riuscita a rispettare quel voto?

«Sì, anzi, ha fatto di più… Con l’aggiunta di quelli della “luce” i misteri sono diventati 20, ma fra Russia ed ex repubbliche sovietiche le case della nostra congregazione sono 25!». Madre Teresa aprì personalmente la casa di Spitak, epicentro del devastante terremoto di 30 anni fa, e una a Mosca. A Yerevan, come ovunque nel mondo, l’opera delle sorelle, presenti dal 2007, è veramente straordinaria. Casa “Bethlem” accoglie bambini piccoli gravemente disabili, con encefaliti, idrocefalie, spina bifida, malattie terminali, forme invalidanti che non hanno possibilità di cura. Li accolgono perché le famiglie sono troppo povere, non hanno risorse per le cure e un figlio con queste difficoltà è spesso motivo di vergogna (anche se non mancano casi di nuclei familiari che, adeguatamente sostenuti, hanno riportato a casa il proprio bambino). Le religiose sono coadiuvate da personale infermieristico, perché l’assistenza è di tipo ospedaliero, quotidiana e nell’intero arco della giornata. Un quadro, all’ingresso della Casa, ricorda che baciare il volto di un bimbo vuol dire baciare il volto di Cristo.

Con gli occhi felici, il sorriso largo e i piedi scalzi, suor Benedetta ci ricorda che le suore, a Yerevan, aiutano anche tante famiglie andando nelle loro case, nei quartieri simili a favelas e bidonville, e la notte escono pure a incontrare le prostitute («a Spitak no, non lo facciamo, sarebbe troppo pericoloso… A causa dei lupi e dei cani randagi!»).

Fondamentale il loro impegno pastorale anche sul fronte dell’evangelizzazione e della preparazione ai sacramenti. Suor Benedetta, che ha avuto il dono di conoscere e incontrare in diverse occasioni madre Teresa, prima dell’Armenia, dove è arrivata sei anni fa, è stata referente della sua congregazione per tutto il Medio Oriente (compresi Siria, Iraq, Iran, Libano). È abituata alle situazioni complesse, senza mai abbandonare serenità, fede e fiducia. «A volte facciamo percorsi strani nella vita, ma la nostra vocazione è lì, non ti lascia. Il Signore ti chiama, ti manda e il tuo cuore non può che dire sì». La Casa riesce ad affrontare tutte le sue attività grazie alla Provvidenza, con gli aiuti dall’Italia e dagli armeni della diaspora.

Questo articolo fa parte del lungo reportage dedicato all’Armenia pubblicato sul numero in uscita de Il Settimanale della Diocesi di Como.