Non stiamo sparando sul bersaglio piccolo? E’ il dubbio che sorge, osservando i primi passi della politica migratoria del nuovo governo.
Ce la prendiamo con Macron, e con buone ragioni, visto che i cugini francesi fanno gli gnorri sull’alleggerimento della spinta migratoria lungo la rotta mediterranea (e poi il «buco», in Libia, l’han creato loro…).
Ma così finiamo per trascurare il bersaglio grosso: che non è la Francia, ma quei paesi dell’Unione (in particolare i «duri e puri» dal Danubio alla Vistola) che di presa in carico di profughi non vogliono neanche sentire parlare. Oppure: è guerra aperta alle ONG operanti nel Canale di Sicilia. Ma il bersaglio grosso non dovrebbero essere gli scafisti e le mafie nord-africane che mercanteggiano senza scrupoli sulla carne umana? Sul conto delle ONG occorrerebbe un po’ di buon senso. Riconoscendo – primo, e anzitutto – l’alto valore umanitario di chi, in questi anni, ha tratto in salvo migliaia di naufraghi.
Se poi – secondo – qualcuno ha voluto fare da sé (al di fuori delle regole di concertazione), o peggio ancora ha violato le leggi (per es. contattando sottobanco gli emissari degli scafisti, all’insegna del «voi partite, che veniamo a prendervi»), questa è roba da codice penale (favoreggiamento dell’immigrazione clandestina). Ma è compito delle Procure accertare i singoli fatti aventi rilievo penale, e non si deve fare di ogni erba un fascio (vedi due recenti assoluzioni).
Se poi ancora – terzo – fra gli attivisti delle ONG allignasse qualche virus ideologico (del tipo: «è giusto che vengano tutti, perché il ricco Occidente deve pagare il suo debito storico contratto con il colonialismo»), beh, qui la parola giusta è imbecillità. Lo spostamento dei popoli è fenomeno epocale, segnale di un mondo accorciato e globale che si è messo in movimento, riducendo le distanze; ed è ben vero che la radice ultima degli spostamenti sono le pesanti inequità e disuguaglianze planetarie, grazie (anche) alle quali il primo mondo ha costruito la sua fortuna e la sua opulenza. Ma pretendere di affrontare un fenomeno di tale portata e complessità con semplificazioni ideologiche a buon mercato («fuori tutti»; oppure, appunto, «dentro tutti») suona davvero come imbecillità.
C’è un punto però, sopra tutti. Ed è questo: che se un bambino muore annegato in mare, e qualcuno (non importa chi) avrebbe potuto salvarlo (come vuole la legge del mare), questo non va. E’ un peccato che grida vendetta al cospetto di Dio, e qualcuno ne dovrà rispondere (non solo gli scafisti, ovviamente).
Questo è il primo punto. Poi discutiamo pure di accordi e regole, stabilendo chi deve fare che cosa, potenziamo la Guardia costiera libica e mettiamo anche ordine, se ce ne fosse bisogno, nell’operato delle ONG. Ok anche i solenni vertici europei, magari evitando di siglare accordi in un politichese così untuoso, che permette a tutti di gingillarsi per l’«intesa raggiunta», e a ciascuno di scansare di fatto i propri obblighi, a beneficio del gradimento elettorale interno (vedi il punto nodale della compartecipazione di tutti al primo riconoscimento dei richiedenti asilo: impegno effettivamente sottoscritto, ma «su base volontaria»!…quindi, buona notte!). Insomma: si sentono e si dicono tante parole, più o meno appropriate. Ma se un bambino sta annegando in mare, la prima cosa da fare è salvarlo. Prima i bambini. Dopo gli italiani.
don Angelo Riva
editoriale del Settimanale numero 27 in distribuzione da giovedì 5 luglio
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