Pubblichiamo un commovente saluto ad Angelica, la giovane 26 enne di Dongo, in prima linea nella ricerca contro la fibrosi cistica, il male che l’ha portata via.

Ho sempre saputo che Angelica era malata. Me lo aveva detto sua madre, chiedendomi il silenzio.                               

Forse temeva che sua figlia si sentisse diversa.

L’abbiamo vista crescere e divenire sempre più bella e viva, nonostante la malattia non le desse tregua.

Engi aveva due occhi meravigliosi e profondi come la notte, un’intelligenza non comune e una vivacità incredibile.

Tutti ormai sappiamo che cosa è diventata: una guerriera per la vita.

Scriveva chiaramente la sua consapevolezza sulla sua “bestia”.

Sapeva lucidamente che guarire di fibrosi cistica -oggi- è impossibile; eppure in lei, che viveva in “una camera ormai più simile a una farmacia”, si era, pian piano, fatta strada la necessità di uscire tra gli altri, di  doversi impegnare in prima persona, anima e corpo, in progetti finalizzati alla ricerca.

Così Angelica, anziché ripiegarsi su sé stessa e piangersi addosso per le sue difficoltà, proprio grazie alla sua malattia, ha cominciato fortemente a capire che doveva vivere per amare profondamente e imparare a vedere le cose della vita in maniera diversa, grazie all’amore ricevuto e dato a piene mani, in famiglia e fuori.

Scriveva tra l’altro che era necessario “meditare sulla vita con urgenza appassionata”.

Aveva imparato perciò a gettarsi nella mischia senza timore: in ventisei anni ha vissuto senza risparmiarsi per paura che il tempo a sua disposizione non le bastasse per realizzare i suoi sogni.

E allora via con le tante iniziative per raccogliere fondi, su tutte la sua Marafibrositona, la sua creatura preferita, iniziata nel 2015 e continuata fino al settembre di quest’anno, quando la malattia era divenuta più aggressiva, nonostante il trapianto effettuato nel 2017.

E lei era sul campo, nonostante la fatica, la debolezza, il respiro affannoso, a darsi ancora per gli altri.

L’hanno chiamata la guerriera di Dongo.

Io penso che sia stata la testimone più credibile di oggi del comandamento dell’amore di Cristo.

Lei ha deciso con fermezza -dopo aver pensato a una ricerca che l’aiutasse- di battersi per una ricerca al servizio di tutti, donandosi letteralmente per gli altri.

E questo tutti, non solo i giovani e gli amici, l’hanno capito: le migliaia di persone che la seguivano sui social, che rispondevano ai suoi inviti senza alcuna esitazione, che hanno pregato, pianto, riso e cantato con lei hanno capito il suo messaggio.

La sua chiesa di Dongo non è riuscita ad accogliere i tanti venuti a salutarla.

E sotto le navate, nella luce tersa che filtrava sopra la  bara bianca, sormontata dalla sua foto, sono risuonate forti, limpide, distinte, le parole dell’inno della gioventù “Jesus Christ you are my life” di Frisina.

Perché il messaggio cristiano dell’amore non ha targhe, non resta chiuso dentro inutili recinti, esce con forza nel mondo perché Cristo ha testimoniato con la sua vita che si può anche morire per amore degli altri.

E io sono proprio convinta che Engi  l’avesse assolutamente  capito.

Irma Maria Grazia  Baruffaldi