La Chiesa di Como celebra con gioia il compleanno di uno dei suoi figli. Sabato 8 dicembre in Cattedrale, alle ore 10, nell’ambito del Pontificale dell’Immacolata, che sarà presieduto dal vescovo mons. Oscar Cantoni, verranno ricordati i novant’anni (compiuti il 29 novembre) di mons. Franco Festorazzi, arcivescovo emerito di Ancona – Osimo, diocesi che ha guidato dal 1991 al 2005.

Di seguito lo splendido, intimo ritratto, in esclusiva per il Settimanale, del nipote, giornalista e scrittore, Roberto Festorazzi.

Accolgo volentieri la richiesta del Settimanale di tracciare un ritratto di monsignor Franco Festorazzi, ora che ha raggiunto il ragguardevole primato dei novant’anni di vita, in larga parte trascorsi, con diversi ruoli e responsabilità, a servire con fedeltà la Chiesa, in quanto luogo di comunione dove poter conoscere e amare il volto di Gesù, vivo e presente.

Il mio punto di vista è quello di una persona che, in monsignor Festorazzi, nell’insigne uomo di studi, ha sempre e soprattutto visto il proprio zio: zio don Franco.

Il grande affetto, e il sentimento di riconoscenza che nutro per lui (e questa ricorrenza è motivo di gioia e festa), mi fa sottolineare, innanzitutto, che la sua pedagogia, ossia la sua modalità di trasmettere la sua grande sapienza ed esperienza, con atti e consigli sempre ponderati, non è – come posso dire? – mai passata, soprattutto, con l’esercizio di un’autorità, cioè di un potere, sia pure ecclesiale: anche quando, da vescovo, avrebbe potuto esercitare, con autorità, il governo della Chiesa locale a lui affidata, il suo stile peculiare è stato quello di far maturare, con autorevole mitezza, le sue decisioni, attraverso la preghiera e il dialogo con i suoi collaboratori. Anche se questa strada non sempre era la più facile, da percorrere!

Da uomo di insegnamento, e direi anche da precursore, nella sua ricerca di biblista, delle linee poi fatte proprie dalla Chiesa con il Concilio Vaticano II, don Franco si è sempre posto, a mio modo di vedere, come maestro di discernimento, e come costruttore di rapporti fraterni.

Una volta il suo amico don Bruno Maggioni ha scritto che don Franco, per disposizione d’animo, è talmente capace di accogliere tutti, senza riserve, che l’assenza di atteggiamento giudicante, in lui, è, perfino, qualche volta, difficile da comprendere.

Posso testimoniare, ad esempio, che nella nostra famiglia, anche quando vi sono stati problemi ardui da risolvere, il suo atteggiamento non è mai stato quello di chi impugna la spada, per recidere i nodi: ma, piuttosto, quello di far appello alla buona volontà di tutti, nella consapevolezza che la preghiera – anzitutto, la sua, frutto di una grandissima fede e di una altrettanto elevata spiritualità – possa anche compiere miracoli.

E, infatti, sono testimone di un vero miracolo, accaduto ad Ancona, nei primi anni Novanta.

Persone con intenzioni sacrileghe, rubarono l’eucarestia da una chiesa del centro città. Il vescovo Franco si ritirò in preghiera, nella sua cappella, e, dopo poche ore, venne raggiunto dalla notizia che i ladri avevano restituito le ostie consacrate.

Andò lui stesso a riportarle nel tabernacolo di quella chiesa. Quando tornò in episcopio, a me e alle suore, con volto trasfigurato dalla gioia, riferì le parole che avevano detto quelle persone, evidentemente ravvedutesi: «Quelle ostie ci scottavano tra le mani!».

Da ultimo, mi piace ricordare che, don Franco, ha avuto modo di conoscere, praticamente, tutti gli ultimi papi, da Montini in poi, con la sola eccezione di Giovanni Paolo I, che, tuttavia, ebbe modo di vedere, una volta, a Roma, durante il suo pontificato di soli 33 giorni.

San Paolo VI lesse e apprezzò un testo fondamentale di mio zio, La Bibbia e il problema delle origini (1967), tanto da domandare, nel corso di un’udienza, se per caso non fosse presente anche don Festorazzi, perché aveva piacere di intrattenersi con lui.

Papa Montini si congratulò quindi con il giovane biblista di Como, incoraggiandolo nei suoi studi, riguardanti materie ed argomenti che, prima del Concilio, non erano tra le tesi dominanti.

Fu San Giovanni Paolo II a volerlo poi arcivescovo metropolita di Ancona-Osimo, nel 1991 (come motto episcopale, scelse: “Beati i miti e gli umili di cuore”).

Con Wojtyla mio zio, nel suo ministero di pastore, ebbe parecchi incontri: e lo ricevette, anche, ad Ancona, durante una storica visita pontificia, nel 1999.

Divenuto vescovo emerito, nel 2004, don Franco tornò a vivere a Como. Durante un’assemblea della Cei, svoltasi alla presenza del nuovo papa Benedetto XVI, ebbe modo di scambiare qualche parola con lui.

Il 25 marzo 2017, papa Francesco guidò una grande liturgia, nel parco di Monza, alla quale presero parte, come concelebranti, molti vescovi lombardi.

Don Franco, quel giorno, era sul palco, insieme ai suoi confratelli. Quando Francesco si avvicinò alla zona del palco dove era monsignor Festorazzi, lo zio gli corse incontro ed ebbe con lui un breve dialogo: ci raccontò l’emozione di quel momento.

Mi piace ripensare a questo gesto come allo slancio di entusiasmo giovanile dell’apostolo verso Gesù.

Roberto Festorazzi