«Sto seguendo con apprensione le notizie in merito alle indagini sulla baby-gang che per mesi, a Como, ha operato ai danni di tanti coetanei. E sono molti gli aspetti che mi colpiscono della vicenda».

Questa la riflessione del Vescovo monsignor Oscar Cantoni di fronte ai provvedimenti che nella giornata di ieri hanno interessato 17 minori (12 italiani, 5 di origine straniera) residenti principalmente nella città di Como e qualcuno nell’immediato hinterland.

I FATTI CONTESTATI

Un vero e proprio branco che si è formato nell’arco di un anno, arrivando a coinvolgere una ventina di adolescenti fra i 14 e i 17 anni. Alcuni si sono affiliati quando erano poco più che tredicenni. Un paio sono diventati maggiorenni da pochi giorni. Hanno terrorizzato la città, colpendo coetanei e commercianti, con una vera e propria escalation di violenze concentrata fra luglio e ottobre 2018. Ieri, in un’operazione congiunta, coordinata dalla Squadra Mobile della Questura di Como, in collaborazione con la Compagnia dei Carabinieri del capoluogo lariano, sono stati tutti raggiunti da provvedimenti cautelari, emessi dal Gip del Tribunale dei Minori di Milano che ha accolto integralmente le richieste di inquirenti e Procura.

Cinque giovanissimi sono agli arresti domiciliari; cinque al carcere minorile milanese, “Cesare Beccaria”; sette sono stati affidati a comunità. Almeno 40 i reati ipotizzati, commessi o tentati dai componenti la baby-gang, accusati anche di aver agito in concorso fra di loro. Gli episodi contestati riguardano: 10 rapine, un’estorsione, 17 furti aggravati, 5 ricettazioni, atti di resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, danneggiamenti e lesioni.

«Gli indagati – ha scritto la Procura di Como in una nota – hanno dato vita a fenomeni di micro-criminalità». La gravità delle condotte antisociali è cresciuta, «alimentata da un senso di impunità». Gli aderenti alla banda erano «attratti dalla prospettiva di conquistare “prestigio sociale” verso i coetanei e un ruolo di supremazia nel gruppo dei pari».

LE REAZIONI

«Resto colpito innanzitutto dall’età, giovanissima, dei componenti il gruppo – riprende il Vescovo –. Poi dalla consistenza di quello che è stato definito “branco”. Diciassette ragazzi sono un’enormità. Quindi i motivi del loro agire: spaventare e acquisire potere… Ma che cos’è il potere nell’immaginario di un adolescente?».

Sono cresciuti «in famiglie normali, non benestanti, ma nemmeno in contesti particolarmente disagiati», ci hanno detto le forze dell’ordine. Ora ad alcuni genitori è stata temporaneamente sospesa la potestà sui figli. Andavano tutti a scuola (sicuramente quelli in età di obbligo, mentre gli altri erano iscritti ai licei e agli istituti superiori della città), anche se non si conoscono rendimenti e frequenza. Nessuno di loro è stato mai segnalato per eventuali episodi di bullismo in classe o per comportamenti non adeguati. Da notare come le condotte criminose si siano concentrate soprattutto in estate, quando non c’era l’impegno scolastico.

«Ci hanno sorpresi l’assenza delle famiglie e l’atteggiamento stupito, quasi assolutorio», è stato il commento del questore di Como, Giuseppe De Angelis.

«C’è il rischio che per qualcuno l’arresto diventi addirittura una medaglia da vantare. Il difficile viene ora, con il percorso verso la rieducazione», aggiunge il comandante del reparto operativo dei carabinieri, Andrea Ilari.

Va oltre Sergio Papulino, dirigente della Squadra Mobile, che ha seguito personalmente la vicenda, dalla raccolta delle prime denunce fino agli arresti di ieri. «Il fatto è allarmante perché nuovo per la città di Como – ci spiega –. Mai si era registrato un gruppo così numeroso e, soprattutto, così spavaldo nel commettere reati. Ci siamo trovati di fronte a ragazzini con profili criminali da adulti. Atteggiamenti consapevoli, senza essere alterati da alcol o stupefacenti». Il dirigente ci parla di sfide ai poliziotti (persino un accerchiamento della Questura) e di vere cattiverie: «c’erano ragazzi che non volevano più circolare per il centro città per il timore di incontrarli». E le famiglie? «Alcuni, pochi, in verità, hanno riconosciuto le responsabilità dei figli. Ma gli altri hanno mostrato indifferenza, incoscienza. Di fronte alla notifica del Tribunale ci hanno risposto, alterati, che si trattava di bravate e di provvedimenti esagerati».

È proprio questo particolare ad allarmare monsignor Cantoni: «Un simile quadro non può non metterci in discussione, come adulti e come comunità educante. Non possiamo non interrogarci su quali siano i valori di riferimento della società contemporanea. È una preoccupazione che nutro pensando non tanto ai giovani, quanto a chi i giovani è chiamato ad accompagnare nel percorso di crescita umana. Questa è una vicenda che ci richiama alla responsabilità e che deve essere oggetto di seria e condivisa riflessione, a tutti i livelli e in tutti i contesti».