Pubblichiamo di seguito l’editoriale del nostro direttore don Angelo Riva pubblicato sul numero del Settimanale uscito in occasione della Giornata nazionale di preghiera per la vita. 

Nel 2017 (dati del Ministero della Sanità) il cimitero dei bambini abortiti conta 80.733 piccole croci. Numeri in ribasso rispetto agli anni precedenti (quando raggiungemmo picchi a sei cifre), ha sottolineato con soddisfazione il Ministro Giulia Grillo nel «report» annuale sull’attuazione della legge 194.

Senonché risulta che la stesse legge 194 parlasse dell’aborto non come di un «diritto individuale» di larga disposizione, bensì come di un doloroso compromesso, da tollerare (depenalizzandolo) nel caso in cui il diritto del bambino a vivere entrasse in rotta di collisione con la salute della madre: ora, occorre un bel po’ di fantasia per immaginare che quelle 80.733 situazioni siano stati tutti casi di «aborto terapeutico», ossia di grave pericolo per la vita o per la salute di una mamma.

Purtroppo quando si valuta l’applicazione pratica della legge 194 non si dice mai di questo evidente stravolgimento attuativo della legge stessa. In più c’è un altro dato sottaciuto: le 339.648 confezioni vendute di ©Norlevo (la «pillola del giorno dopo») e le 224.432 confezioni di ©EllaOne (la «pillola dei cinque giorni dopo»), che, messe insieme, fanno nel 2017 grossomodo mezzo milione di possibili aborti «criptati». Cioè «nascosti» dietro la cortina fumogena linguistica della «contraccezione d’emergenza». Questi numeri però non scuotono ormai più nessuno, e scorrono via come se uno strato di grasso avesse ormai definitivamente impermeabilizzato la coscienza comune. Anzi, servono a dire che «la legge funziona». L’assuefazione alla matematica della morte ha ormai completamente narcotizzato le nostre coscienze.

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C’è poi un altro silenzio assordante che occorre in qualche modo rompere. Riguarda l’operato di coloro che – nella stragrande maggioranza volontari – in questi quarant’anni hanno «salvato dalle acque» del Faraone (Sua Maestà l’Individuo) oltre 200.000 bambini, in viaggio non verso la vita (vivi lo erano già) ma verso la nascita; e la cui fioritura, nel giardino del mondo, sarebbe stata viceversa raggelata ed estirpata anzitempo (non è un’immagine: è precisamente l’azione dei due composti chimici usati per provocare l’aborto, dove l’uno avvelena, l’altro provoca l’espulsione dal corpo materno). Un piccolo esercito di samaritani che, nel disimpegno pressoché assoluto delle istituzioni pubbliche, si sono presi sul groppone l’attuazione di quella parte della legge 194 che parla (nientemeno che all’art. 1) di «tutela sociale della maternità»: cioè dell’auspicio, da parte della Repubblica Italiana, che i bambini nascano, anziché no. Ogni figlio nato grazie all’impegno dei «Centri Aiuto alla Vita» è una quercia piantata nel giardino della vita. E ogni volontario che ce la mette tutta, pagando di tasca propria energie e tempo, meriterebbe almeno una pianticella fra i «Giusti delle Nazioni» nel memoriale del Yad Vashem di Gerusalemme.

Anche perché, con l’aria che tira, rischia di ritrovarsi da un momento all’altro annoverato fra i nemici della libertà individuale e dei diritti civili, sanfedista ideologizzato di una visione medievale della maternità.
Le pagine che seguono, di questo numero del Settimanale, intendono appunto rompere la cortina del silenzio, e dare voce al popolo della vita. Storie positive. Storie dolorose. Storie di impegno e solidarietà.

Verso la vita nascente, ma anche verso la vita calante, come ci ricorda la lunga lettera sull’eutanasia a pagg. 30-31.

Verso i figli che nascono, ma anche verso quei figli che chiedono solo di non morire: di fame o di guerra, di persecuzione o di sottosviluppo, nelle carceri libiche o su di una nave bloccata a due chilometri dalla costa europea. Sì, perché chiamare «carico umano» il contenuto della Sea Watch ha la stessa durezza linguistica di «feto abortito». E la «chiusura dei porti» parla lo stesso idioma della chiusura dei grembi.