«Chi è papa Francesco? Cosa sta dicendo lo Spirito alla Chiesa attraverso il suo pontificato? Dove dirige oggi la barca di Pietro?

Interrogativi forti e ineludibili. Che percorrono la comunità cristiana, e rischiano pure, se non di spaccarla, di risultare però divisivi. O per lo meno di diffondere fra i cattolici una specie di palude silenziosa che – partendo da un’evidente fraintendimento del magistero di papa Bergoglio, frettolosamente accostato e altrettanto rapidamente archiviato – dissimula, in un diplomatico ma sofferto silenzio, uno stato di disagio, per non dire di disorientamento. Proviamo allora ad approfondire, al di là della citazione episodica, il nerbo del magistero di Francesco.

Un nerbo che possiamo distribuire lungo una triplice direttiva: il primato della fede («il mistico»), la passione per il dialogo («il pontefice»), l’opzione per la storia («il pellegrino»).

Una triplice direttiva a cui è possibile riconnettere il volto della Chiesa (identità, dialogo, storia) e della sua pastorale (integrare, discernere, accompagnare), ma anche gli errori esiziali (mondanità, neo-gnosticismo e neo-pelagianesimo) dai quali l’attuale Papa intende metterci in guardia».

Sono queste le parole con cui il direttore de “Il Settimanale della Diocesi di Como” don Angelo Riva ha introdotto il suo approfondimento  (in due puntate) dedicato al magistero di Papa Francesco che pubblichiamo a partire dal numero in uscita del giornale.

Chi è papa Francesco? – esordisce don Riva – È un papa sudamericano, argentino, venuto «dalla fine del mondo». Inevitabile, perciò, cogliere in lui i tratti tipici di quel preciso contesto ecclesiale e geopolitico. Per esempio l’indole pratica, concreta, da «parroco del mondo». Poi il tratto fortemente popolare, un po’ difficile da capire per noi occidentali moderatamente borghesi e individualisti (e la fatica a comprendersi è spesso reciproca). Da questa matrice sudamericana viene anche la sua insistenza sui poveri del mondo (gli «scartati», ben più che «marginali»), e il giudizio tagliente sugli idoli dell’Occidente, in particolare il consumo e l’economia di mercato (sulla quale, per es., EG 53-60 esprime un giudizio molto più tranchant di quello di Giovanni Paolo II in Centesimus annus 34-35.42-43: anche perché ben differente, e assai più truce e sanguinario, è il volto del capitalismo sudamericano rispetto a quello europeo, temperato da quasi un secolo di politiche sociali). Quindi l’indole pastorale: Francesco non manca certo di una teologia (e proprio in queste pagine avremo modo di mostrarlo), ma è lui il primo a sapere di non essere un fine teologo, e di fare per questo riferimento alla grande tradizione della Chiesa (a cominciare dal suo predecessore Benedetto XVI), mentre la sua attenzione appare tutta incentrata sul rinnovamento pastorale e missionario delle comunità cristiane (EG 25-33: «pastorale in conversione»).