Oltre Bibbiano. I fatti verificatisi nella località emiliana hanno “sporcato” l’immagine di un modello di accoglienza che, negli anni, sembrava aver trovato equilibrio, non senza fatica. Con forza è tornata invece l’idea che, quando un Tribunale mette il naso dentro una dinamica familiare lo fa per “sfasciare” una famiglia, non per offrirle una stampella. Ma è davvero così?

Il Coordinamento comasco delle realtà di accoglienza per minori, con i suoi circa 300 minori accolti ogni anno dalle diverse realtà che ne fanno parte, non poteva non sentirsi interpellato da questo generalizzato malessere, che alimenta timore e pregiudizio nei confronti del mondo dell’accoglienza e dell’affido. Interrogandosi sull’opportunità di raccontare meglio questo mondo e, pertanto, di raccontarsi. Il Settimanale ha incontrato alcuni dei suoi rappresentanti nel tentativo di fare un po’ di chiarezza.

Va, innanzitutto, chiarito che la scelta di allontanare un minore dalla famiglia d’origine non è un passaggio che viene mai compiuto con leggerezza. Situazioni estreme, che portano a provvedimenti estremi. Un aspetto da spiegare, a scapito del “vulgata” che pensa che basti poco per un provvedimento così dirompente. Le difficoltà economiche, ad esempio, possono essere una motivazione sufficiente per l’allontanamento di un minore dalla sua famiglia?

«Assolutamente no! – spiega Gabriella, La Casa dei Tigli, Brunate – anche se questa opinione è purtroppo molto diffusa. Quando il problema è solo la mancanza di mezzi economici, i Servizi sociali provvedono assicurando il necessario sostegno. È la legge sull’affido a dire, espressamente, che l’assenza di risorse economiche non può essere considerata causa di pregiudizio nei confronti del minore. Si potrebbe non avere un tetto sulla testa ed essere ugualmente protettivi verso i propri figli. La povertà che pesa, dentro un contesto familiare, è piuttosto la mancanza di risorse personali e affettive. Un’assenza di mezzi, a volte lo vediamo nei genitori dei piccoli ospiti accolti, che deriva da un vuoto relazionale e affettivo che i genitori stessi hanno vissuto. Insomma, se tu non hai fatto esperienza di bene difficilmente riesci a darlo. È questa assenza di mezzi che tante volte viene letta all’esterno come un semplice “sono poveri”… Va anche detto che spesso, anche in situazioni critiche, il giudice, ravvisando risorse nella madre, dispone l’allontanamento del minore ma al contempo il collocamento in comunità mamma-bambino, confidando nel fatto che ciò possa tradursi in un beneficio per il minore. Alla scelta di allontanare il minore dalla sua famiglia il giudice arriva solo quando appaiono evidenti situazioni di pericolo per il minore stesso, forme gravi di pregiudizio che noi riscontriamo in bambini o ragazzi che, arrivati in comunità, appaiono in fatica e con in quali è necessario mettere in atto un percorso di recupero molto impegnativo».

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