Quasi 8 mila firme raccolte sul sito Change.org in soli tre giorni e un ritmo che non accenna a fermarsi. È davvero una valanga di affetto e solidarietà quella che sta circondando il personale della Terapia Intensiva Neonatale dell’Ospedale Valduce di Como, su cui pende – come una spada di Damocle – la decisione di chiusura da parte di Regione Lombardia.

Una delibera di giunta dell’11 novembre scorso stabilisce infatti, a causa del “basso tasso di saturazione” e del “limitato bacino d’utenza”, la chiusura della TIN del Valduce, che conta quattro culle speciali per neonati prematuri o con particolari criticità alla nascita. Il provvedimento entrerà in vigore il 1° gennaio 2020.

Il Sant’Anna di Como-San Fermo è stato indicato come hub di riferimento per il ricovero e l’assistenza dei piccoli pazienti. Dovrà adeguarsi portando a 8, contro i 6 attuali, i posti in TIN e dovranno salire a 16, da 15, le culle per i neonati subacuti.

Potete firmare la petizione cliccando qui

Una petizione per chiedere alla Regione di non chiudere la Terapia Intensiva Neonatale del Valduce. [Firma qui]

A decine, negli ultimi giorni, sono state le mamme, passate dalla TIN del Valduce, che hanno voluto condividere la loro storia, esprimendo solidarietà alla TIN. Tra queste la stessa Valentina Bianchi, anima e cuore dell’associazione “GocciaDopoGoccia”, che ha dato il via alla raccolta di firme.

«Oltre ad essere la presidentessa di “GocciaDopoGoccia” sono soprattutto la mamma di Sofia, nata nel 2014. Ho partorito Sofia alla 25° settimana, il 19 luglio anziché alla fine di ottobre, pesava 590 grammi. È sopravvissuta tre mesi. La permaturità è qualcosa che ti colpisce all’improvviso, quando pensi di poter portare avanti una gravidanza con regolarità. Si tratta di nascite caratterizzate da un elevato rischio di mortalità. Sofia aveva il 10% di possibilità di sopravvivere. Abbiamo trascorso tre mesi in TIN insieme, gli unici tre mesi in cui ho potuto essere mamma con mia figlia, vivendo in totale simbiosi con lei. Dopo tre mesi se n’è andata. Di fronte al dramma della morte di un figlio, che ti strazia dentro, puoi decidere di farla finita, perché la voglia di sopravvivere svanisce, oppure cercare di canalizzare il dolore. Così è maturata in me la decisione di dare vita ad un’associazione che sostenesse l’attività della Terapia Intensiva Neonatale dell’ospedale Valduce di Como, perché quel luogo è stato, per il periodo che ci sono stata, la mia famiglia. Essendo una mamma single ho dovuto affrontare l’intero percorso contando solo sulle mie forze. Eppure non sono mai stata lasciata sola, circondata da un calore ed una qualità eccezionali. L’esperienza che ho avuto, girando anche presso altre TIN, con l’associazione “Vivere” che rappresenta tutte le terapie intensive d’Italia, mi porta a dire con assoluta certezza che abbiamo la fortuna di avere in città una TIN che, oltre ad essere eccellente sul piano della qualità, lo è soprattutto dal punto di vista umano. Mi figlia ha potuto morire tra le mie braccia. Ho trascorso un’ora con lei mentre se ne andava e in seguito ci è stato concesso tutto il tempo di cui avevo bisogno. Ho vissuto un’assistenza e una vicinanza che non sono così scontate… Ho sentito mamme che mi hanno raccontato come sia stata affrontata altrove la morte del loro figlio: “…suo figlio è morto… porti i vestiti, la accompagniamo in camera mortuaria…” Mia figlia è nata ed è morta dove l’umanità arriva prima di tante altre cose. Un’umanità supportata da una competenza straordinaria».

Altra testimonianza intensa è quella di Chiara Balbiani, anche lei disponibile a raccontarsi al Settimanale:

«Prima di tutto vorrei sottolineare, che se la TIN dovesse venire chiusa a risentirne sarebbe l’intero quarto piano dell’ospedale, dove sono presenti anche i reparti di ostetricia e ginecologia, perché le mamme cercherebbero un altro ospedale dove partorire, in cui questo servizio sia fornito.  Prima che nascesse Samuele ho trascorso tre settimane in ostetricia. Giorni molto difficili, ma in cui l’intero reparto mi ha sempre trattato con grande attenzione. Mio figlio è nato alla 26° settimana + 6, ed anche la sera della nascita, che ha rappresentato per me un momento piuttosto traumatico, perché una mamma non è pronta a partorire alla 26° settimana, sia il ginecologo di turno che l’ostetrica che mi ha seguito, che la puericultrice, mi sono stati molto vicini, incoraggiandomi e dandomi tanta forza. Quando è nato Samu, prima di portarlo in TIN i medici lo hanno sistemato, intubato, e mi hanno atteso fuori dalla sala parto per mostrarmelo in incubatrice, perché poi avrebbero dovuto sottoporlo a molti esami e sarebbero passate circa quattro ore prima che potessi rivederlo. Samuele ha trascorso 70 giorni in TIN e 4 giorni in pediatria. Si è trattato di un periodo non facile, ma durante il quale ho colto, ogni giorno, attenzione particolare al fatto che se la mamma sta bene, sta bene anche il bambino. Ricordo il primo giorno: non volevo toccare Samuele, perché era piccolissimo, nonostante le infermiere mi spingessero perché mettessi la mano nell’incubatrice, perché gli avrebbe fatto bene. Ma non c’era verso di convincermi. Quando il dott. Merazzi, (Daniele Merazzi, direttore del dipartimento materno-infantile, ndr) venne a trovare noi mamme per fornirci un report sugli esami a cui i bambini erano stati sottoposti ci chiese se lo avevamo toccato. Io gli dissi che non avevo nessuna intenzione di farlo, perché avevo paura di fargli male. “Guardi, mamma – è stata la sua risposta – che ogni momento in cui non lo tocca è un momento che perde con il suo bambino”. Sono tornata subito in TIN e ho iniziato a toccarlo, e così ho fatto ogni giorno per tutto il periodo della sua permanenza! In TIN appena il bambino sta bene cercano in ogni modo di avvicinarlo alla mamma: lui è nato il lunedì e già il giovedì facevo la marsupioterapia, grazie anche alle comode sdraio fornite dall’associazione “GocciaDopoGoccia”. Così come sono stata seguita con grande attenzione perché riuscissi ad allattare Samuele al seno, cosa per nulla scontata per un prematuro così grave».