Ho fatto un sogno. Ero morto e vagavo nell’etere in attesa del mio turno di giudizio. Allora l’arcangelo Gabriele mi fece dare un’occhiata d’insieme ai millenni della storia cristiana. Volti e vicende che hanno tessuto l’ordito del Regno di Dio.

Vidi subito il primo millennio della storia cristiana. L’arcangelo Gabriele mi disse che fu il millennio dei martiri e dei monaci. Cioè di quelle prime generazioni cristiane che udirono zampillare, nitida e fresca, la parola di Cristo. E vergine e rigogliosa fu anche la loro risposta. Fino all’effusione del sangue, tributo cruento pagato sull’ara del mondo dominato dal Maligno. O fino al martirio di una vita totalmente nascosta e consegnata al Signore, nell’ombra della cella o del monastero.

L’arcangelo Gabriele mi trasportò allora in spirito davanti al secondo millennio della storia cristiana.
Mi disse che avremmo potuto chiamarlo il millennio dei preti. Il clero, in effetti, vi recitò la parte del leone.
L’autorità del Papa fu riconosciuta e affermata da un capo all’altro di questo millennio, dal Dictatus Papae di Gregorio VII (1075) fino alla solenne dichiarazione della sua infallibilità con Pio IX (Concilio Vaticano I, 1870).
La Chiesa in generale si improntò secondo un’immagine piramidale e verticistica, nella quale spiccava il ruolo gerarchico dei ministri ordinati (vescovi e preti). Il Decreto di Graziano, culla del diritto canonico, argomentava che «duo sunt genera christianorum»: appunto i chierici da una parte, e dall’altra quelli che chierici non sono. La Chiesa dei chierici crebbe in splendore e magnificenza, sviluppandosi come istituzione politica teocratica (Innocenzo III), egemone su prìncipi e re. Ma capace pure di vette sublimi di santità, grazie anche al formidabile volano del celibato ecclesiastico, e all’opera riformatrice dei costumi del clero messa in atto soprattutto dal Concilio di Trento.
Vidi poi sfilare davanti ai miei occhi il terzo millennio. Qui notai che l’egemonia dei chierici – per quanto ancora essenziali nel loro ruolo di rappresentanza di Cristo nella celebrazione eucaristica – si era andata affievolendo. Cresceva invece la coscienza dei fedeli battezzati.

L’arcangelo Gabriele mi disse che il terzo millennio della storia cristiana avrebbe potuto chiamarsi il millennio dei laici: battezzati consapevoli della propria identità di discepoli missionari; sposi e famiglie; aggregazioni laicali; persone competenti nelle arti e nelle scienze, dove si intaglia l’umana avventura nel mondo. Là dove pulsa la vita dell’uomo, insomma, come zolla fumante e madida di vangelo.
Là dove si lavora, si pensa, si fanno figli, si educa, si soffre e si muore, e si elabora un’intelligenza pratica del vangelo. Chiesa di popolo. Si badi: fu bandito ogni ingenuo e spiritualistico popolarismo (come se la voce dello Spirito potesse confondersi con qualsiasi qualunquistico starnazzo popolare).
In tal senso il ruolo equilibratore e chiarificatore della grande tradizione – di cui è depositario il magistero della Chiesa – continuò ad essere essenziale. Ma la Chiesa del terzo millennio sapeva di potersi attendere da laici e famiglie, da gruppi e associazioni, quelle intuizioni innovative, quei guizzi di audace creatività, quell’«artigianato di vangelo» che l’antico ceto clericale, da sé solo, non era più in grado di produrre…Fu così che mi destai dal sonno. E mi ritrovai in Duomo, una domenica di gennaio, con un Sinodo che stava per cominciare…

don Angelo Riva

Questo editoriale è apparso sul numero 3 del Settimanale.
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