“In questo luogo, venerando l’altare, da cui più volte, in occasioni diverse, è sgorgata acqua, simbolo della misericordia, per cui molti cuori di sacerdoti, religiosi/e e laici sono rifioriti, vogliamo ringraziare la Santissima Trinità Misericordia per la grandezza dei doni con cui accompagna incessantemente la nostra Chiesa di Como, destinati ad essere trasmessi e offerti alla Chiesa intera”.

Con queste parole il vescovo Oscar Cantoni ha spiegato la scelta di celebrare la S. Messa di domenica 19 aprile, dedicata alla Divina Misericordia, proprio in questo luogo eretto nel 2010 santuario diocesano dal vescovo Diego Coletti.

“In questo luogo – ha proseguito il Vescovo -, ripetutamente, Dio ci chiede di essere rimesso al centro, di lasciarci raggiungere dalla sua misericordia infinita, di contemplare il suo Mistero trinitario, per sentirci sempre, dentro ogni circostanza, anche in questa situazione dolorosa di pandemia, figli amati nella loro fragilità dalla forza di un amore più grande, così da poter portare al mondo l’annuncio di vita e di speranza che non ci lascia mancare”.

Il Vescovo si è soffermato sulla particolare esperienza spirituale di Maccio: “Proprio in questo Santuario, attraverso una intensa esperienza spirituale, che il Signore ha concesso a un figlio della nostra Chiesa e mediante segni visibili, tuttora al vaglio della Chiesa, è risuonata la richiesta di dedicare questa domenica alla Santissima Trinità Misericordia, perché la Pasqua del  Signore, da lui compiuta, sia riconosciuta come l’espressione massima della Santissima Trinità, la sua suprema rivelazione, il luogo dove Dio manifesta se stesso e il suo nome: “misericordia”, parte integrale del suo essere.

Il Vescovo ha espresso anche alcune considerazioni sul proseguo del cammino del Sinodo diocesano che proprio in questo Santuario “ha ricevuto la profetica intuizione di essere celebrato”.

“Il percorso del Sinodo – ha detto il Vescovo – è solo interrotto per l’inatteso triste evento del coronavirus, ma come mi ha scritto una sinodale, se nello stesso tempo, dal vuoto in noi stessi, dal vuoto delle nostre chiese e delle nostre piazze, avremo il coraggio di ascoltare ciò che sta accadendo in questo tempo di pandemia e se sapremo trarne una oculata lezione, il nostro Sinodo si arricchirà notevolmente mediante una ripartenza più fedele al volere di Dio”.

Un Sinodo che, ha concluso il Vescovo, “sarà forse molto diverso da quello che ci saremmo attesi, ma intanto abbiamo avuto la possibilità, proprio in questo periodo drammatico, di sperimentare al vivo, come singoli e come comunità, la misericordia di Dio, operando  insieme, in piena e leale unità di intenti”.

Pubblichiamo di seguito l’omelia del vescovo Oscar

Amati fratelli e sorelle:

anche oggi entro, “in punta di piedi”, nelle vostre case come un amico, un fratello, un padre.

Vi reco l’annuncio e la gioia pasquale, insieme alla misericordia che Dio, a piene mani, distribuisce in questa domenica della divina Misericordia. Potremo attingerne in abbondanza per poterla poi condividere con quanti oggi hanno bisogno di sperimentarla in modo particolare.

I racconti del Vangelo di queste domeniche ci narrano i diversi incontri di Gesù risorto con i suoi discepoli, ancora impauriti e increduli per lo scandalo della sua passione e insieme stupefatti per la gioia di vedere il loro amico e maestro nella condizione di Signore Risorto.

Ascolta l’omelia dal minuto 23.30

Mettiamoci noi pure alla scuola del Risorto per imparare, come i primi discepoli, a riconoscere la sua presenza sperimentando i frutti sempre vivi e attuali della sua passione e morte: la riconciliazione con Dio, con noi stessi e con gli altri, il perdono dei peccati, la pace e la gioia. Così vivremo anche noi da risorti, in una vita rinnovata.

I primi discepoli a poco a poco sono giunti a comprendere che la passione del Signore era necessaria perché la misericordia di Dio fosse a tutti manifesta e a tutti donata attraverso l’effusione dello Spirito Santo.

Certo, Gesù risorto è stato molto paziente con i suoi discepoli, così come lo è con noi. Li rimprovera per la loro poca fede, ma nello stesso tempo li rinfranca e li rincuora. Si presenta ad essi come il Vivente, portandoli progressivamente a una vera fede nella sua resurrezione.

Con nostra sorpresa, si fida nuovamente di essi, tardi e duri di cuore, li appassiona, per poi inviarli nel mondo, una volta ricolmi della pienezza dello Spirito Santo, come testimoni e annunciatori della sua misericordia.

Noi rimaniamo stupiti per la testardaggine di Tommaso, che in un primo momento rifiuta di credere nel Risorto, giacchè non era presente quando Gesù si è presentato ai suoi discepoli, ma “la sua incredulità, come sottolinea S. Gregorio Magno, è più utile per noi della fede degli apostoli”.

Tommaso vorrebbe credere mediante una prova visibile e tangibile di Gesù, veramente passato dalla morte alla vita.

Tommaso giungerà, tuttavia, anche se in ritardo, a quella professione di fede che nel Vangelo secondo Giovanni risulta la più alta e la più completa, quando esclama: “Mio Signore e mio Dio!“.

Dentro questa sua espressione dobbiamo sottolineare non solo l’esattezza dottrinale (Gesù, nella pienezza della sua umanità e con le ferite del costato è veramente Signore e vero Dio!), ma anche come la conoscenza di Gesù sia frutto dell’esperienza trasformante del suo amore per lui.

Quanto più, infatti, noi amiamo il Signore, tanto più avremo modo di conoscerlo.

Vorrei ora rendere ragione della scelta di venire qui, in un pellegrinaggio ideale di tutta la nostra Chiesa, in questo Santuario, dedicato dal nostro vescovo Diego (nel 2010) alla Santissima Trinità misericordia, per celebrare l’Eucaristia, segno visibile e perenne della attualità della Redenzione.

La sapienza del santo papa Giovanni Paolo II, sostenuto dalle rivelazioni private di Gesù a suor Faustina Kowalska (1905-1938), una religiosa di Cracovia, definita l’apostola della Divina Misericordia (che lo stesso Pontefice ha avuto la gioia di dichiarare santa nell’anno 2000), ha maturato in lui la convinzione di elevare, in questa seconda domenica di Pasqua, un grande e corale inno di ringraziamento per il dono pasquale di Cristo, proponendola a tutta la Chiesa come “domenica della divina Misericordia”.

In questo luogo, venerando l’altare, da cui più volte, in occasioni diverse, è sgorgata acqua, simbolo della misericordia, per cui molti cuori di sacerdoti, religiosi/e e laici sono rifioriti, vogliamo ringraziare la Santissima Trinità Misericordia per la grandezza dei doni con cui accompagna incessantemente la nostra Chiesa di Como, destinati ad essere trasmessi e offerti alla Chiesa intera.

In questo luogo, ripetutamente, Dio ci chiede di essere rimesso al centro, di lasciarci raggiungere dalla sua misericordia infinita, di contemplare il suo Mistero trinitario, per sentirci sempre, dentro ogni circostanza, anche in questa situazione dolorosa di pandemia, figli amati nella loro fragilità dalla forza di un amore più grande, così da poter portare al mondo l’annuncio di vita e di speranza che non ci lascia mancare.

Solo, infatti, se ci lasceremo abbracciare dalla misericordia divina, se avremo per primi sperimentato e goduto noi stessi della tenerezza del suo perdono, sapremo, a nostra volta, impegnarci ad essere misericordiosi con gli altri, così come il Padre lo è con noi.

Proprio in questo Santuario, attraverso una intensa esperienza spirituale, che il Signore ha concesso a un figlio della nostra Chiesa e mediante segni visibili, tuttora al vaglio della Chiesa, è risuonata la richiesta di dedicare questa domenica alla Santissima Trinità Misericordia, perché la Pasqua del  Signore, da lui compiuta, sia riconosciuta come l’espressione massima della Santissima Trinità, la sua suprema rivelazione, il luogo dove Dio manifesta se stesso e il suo nome: “misericordia”, parte integrale del suo essere.

La Pasqua del Figlio è dunque rivelazione piena della misericordia del Padre, testimoniata dall’effusione dello Spirito Santo nel cuore degli uomini (Rom 5,5). Così si esprime Papa Francesco nella bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia: “Abbiamo bisogno di contemplare il mistero della misericordia. E’ fonte di gioia, di serenità e di pace. E’ condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS.Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro” (MV 2)

Se la misericordia è la parola chiave per indicare l’agire di Dio verso di noi, lo strumento attraverso il quale è reso visibile e tangibile il suo amore, se vogliamo che la misericordia diventi veramente “l’architrave che sorregge tutta la Chiesa” (MV 10), alla luce di questa convinzione potremo proseguire,  con un nuovo impulso, anche il nostro Sinodo diocesano, che proprio qui, in questo Santuario, ha ricevuto la profetica intuizione di essere celebrato.

Il percorso del Sinodo è solo interrotto per l’inatteso triste evento del coronavirus, ma come mi ha scritto una sinodale, se nello stesso tempo, dal vuoto in noi stessi, dal vuoto delle nostre chiese e delle nostre piazze, avremo il coraggio di ascoltare ciò che sta accadendo in questo tempo di pandemia e se sapremo trarne una oculata lezione, il nostro Sinodo si arricchirà notevolmente mediante una ripartenza più fedele al volere di Dio.

Mentre ringraziamo per il dono della misericordia del Padre, effuso dallo Spirto santo sulla Chiesa del Figlio, troviamo dunque il coraggio di riconoscere le situazioni di precarietà e di sofferenza che in questi giorni emergono in maniera drammatica.

Testimoniare la misericordia di Dio ci impegna a curare con sollecitudine le ferite, a volte laceranti, che scopriamo in tanti nostri fratelli e sorelle attorno a noi con l’olio della consolazione e con la solidarietà, a cominciare dai nostri familiari.

Rivestiti della misericordia di Dio, sentiamoci provocati a guardare le miserie del mondo, ascoltando il grido di coloro che invocano aiuto, a partire sì dal nostro ambiente, ma non limitandoci ad esso.

Tutto il mondo è coinvolto in questa terribile situazione.

Non dimentichiamo però che certi popoli poveri sono sprovvisti di risorse, di strumenti scientifici, di mezzi materiali, esposti molto più di noi al rischio della malattia, della povertà, della fame, dell’isolamento, della morte.

Metterci nello stato d’animo di chi vuol condividere le sofferenze dei fratelli è già vivere una comunione intensa, che spezza le barriere dell’indifferenza, quella che spesso sappiamo costruire attorno a noi per coprire il nostro egoismo, appoggiando la “politica dello scarto”.

Certo, anche il nostro Sinodo sarà forse molto diverso da quello che ci saremmo attesi, ma intanto abbiamo avuto la possibilità, proprio in questo periodo drammatico, di sperimentare al vivo, come singoli e come comunità, la misericordia di Dio, operando  insieme, in piena e leale unità di intenti.

La luce del Mistero pasquale illumini la vita della nostra Chiesa, quella delle nostre famiglie, dei nostri presbiteri, dei giovani, dei  numerosi poveri che sono tra noi.

Al termine della celebrazione il Vescovo ha ricordato il servizio diocesano di ascolto e sostegno psicologico.