Oggi sono loro nell’occhio del ciclone. Mentre a livello generale i dati relativi ai decessi da Covid-19 risultano in calo, le case di riposo fanno registrare picchi preoccupanti di mortalità. Come se il virus si fosse aggirato in silenzio tra le stanze per giorni, per poi manifestarsi nella sua crudele potenza.

Ci siamo chiesti quale sia il clima che si respira all’interno delle RSA della città e come sia cambiata l’attività dall’esplosione dell’emergenza. Ne abbiamo parlato con Elena Scalcinati, referente del servizio animazione per la Ca’ d’Industria di Rebbio. Sulla situazione generale un Ca’ d’Industria la Fondazione ha diffuso, nei giorni scorsi, una nota che trovate qui.

Ca’ d’Industria: la situazione. Il punto dell’avvocato Beccalli

Elena, l’emergenza Covid ha rivoluzionato anche la programmazione delle attività all’interno delle RSA. Com’è cambiato il lavoro in Ca’ d’Industria?

«Il divieto di ingresso dei volontari, già dal 25 febbraio, ci ha imposto pian piano di riorganizzarci cercando di sopperire, come potevamo, al loro prezioso supporto. Inizialmente siamo riusciti a mantenere alcune attività consuete, come la tombolata pomeridiana o la lettura dei giornali, riadattandoci anche in base alle limitazioni introdotte agli spostamenti interni. Da subito, infatti, non è stato più possibile, per ragioni di sicurezza, spostare gli ospiti da un reparto all’altro, così come è stato vietato di muoverli dai piani. Riorganizzazione che ha imposto di rivedere anche l’attività motoria. Non essendo più possibile accompagnare gli ospiti in palestra le colleghe fisioterapiste svolgono l’attività direttamente in reparto o nelle piccole palestrine presenti nei due piani. Per quanto riguarda il servizio di animazione da circa un mese molte proposte sono state sospese per garantire le videochiamate degli ospiti con i familiari, un impegno che abbraccia l’intera giornata. Permangono alcuni servizi destrutturati, grazie anche ad una collega che è rientrata da qualche giorno, come una sorta di lettura dei quotidiani, che è in realtà è un’occasione per stare accanto agli ospiti e scambiare quattro chiacchiere, anche per comprenderne meglio lo stato d’animo; piuttosto che qualche attività di stimolazione. Nella sostanza, però, il nostro lavoro è in prevalenza assorbito dal garantire il contatto con i familiari. E quando dico “nostro” ci tengo ad allargarlo all’intera equipe, che non si limita a noi animatrici, ma anche al personale ausiliario, con il quale spesso i familiari parlano, chiedono informazioni, anche attraverso una normale telefonata, al di fuori della videochiamata programmata. In questo vedo conferma del buon rapporto che negli anni tutti noi siamo riusciti a costruire con i familiari stessi, ribadito dai numerosi attestati di stima e fiducia che ci arrivano ogni giorno, che ci fanno bene. Ognuno di noi, insomma, si aiuta come meglio può, anche nelle incombenze più diverse, per offrire un aiuto, per sgravare qualcun altro da una fatica. Ci siamo riscoperti, tra noi, ancora più famiglia.  Da circa un mese abbiamo inoltre istituito un momento di preghiera quotidiana in entrambi i piani».

Come vi riesce di spiegare agli ospiti, che sono in grado di comprendere, la situazione che stiamo vivendo?

«Da una parte il fatto che molti dei nostri ospiti abbiano problemi di demenza e dunque di orientamento spazio-temporale, li aiuta nel non percepire come frustrante questo tempo di assenza dei propri cari. La maggior parte appare meravigliata, un po’ stupita, di fronte al tablet che, di fatto, un po’, li riporta a casa. Spesso, nel corso delle videochiamate gli ospiti chiedono ai loro familiari: “Quando vieni e trovarmi, è un po’ che non ti vedo!”. Dentro questa domanda c’è la scarsa consapevolezza del tempo che scorre e, di conseguenza, l’assenza di dolore e frustrazione. Certo ci sono anche ospiti più lucidi e presenti, la cui sofferenza è evidente, anche se si fa il possibile per mantenerne vivo il rapporto quotidiano con i familiari. A chi è in grado di comprenderla abbiamo spiegato la situazione così com’è stata descritta a noi, con le molteplici limitazioni alle nostre vite che, necessariamente, ha imposto».

Come stanno vivendo i familiari degli ospiti questa situazione?

«Con grande comprensione. Questo in virtù di un rapporto di fiducia e stima che certo non nasce oggi. Le piccole attenzioni che tutti noi operatori abbiamo: dalla telefonata, alla parola di consolazione, alla foto, ai video di auguri ci consentono di trasmettere serenità e sicurezza ai parenti, nonostante il tempo sospeso che tutti stiamo vivendo. Gesti semplici, che fanno da sempre parte del nostro modo di lavorare, ma che abbiamo dovuto adattare alla situazione, attraverso i quali testimoniamo ai familiari che la vita continua, va avanti, anche qui dentro. Anche con qualche miglioramento. Penso, ad esempio, ad un ospite che qualche giorno fa ha incominciato a mangiare da solo, prima era la moglie che lo imboccava… Un bel passo di cui abbiamo ovviamente inviato un breve filmato ai familiari. I parenti comprendono, insomma, i nostri sforzi quotidiani per mantenerli in contatto con i loro congiunti».

Pur nella fatica c’è qualche elemento di positività che la situazione ha fatto emergere?

«Da qualche settimana ormai noi tre animatrici, insieme alle tre fisioterapiste, diamo una mano nei cinque reparti per imboccare gli ospiti che non sono in grado di alimentarsi da soli. Anche in questo, lo dicevo all’inizio, vedo la conferma importante del nostro essere sempre più famiglia. Il legame tra tutti noi si è consolidato nel bisogno di raccontarci, sostenerci, condividere istanti, emozioni, fatiche. Insieme troviamo forza, per restituirla, a nostra volta, agli anziani ospiti, sforzandoci di mascherare una preoccupazione che c’è. Tra gli ulteriori elementi positivi che ho riscoperto in questo periodo c’è stata la preghiera. Era tempo che non lo facevo più. Nessuno ci ha imposto di prevedere un momento quotidiano con gli ospiti. Anche quello è stato per me molto importante…»

L’intervista completa è disponibile sul numero 17 del Settimanale.