Ci sono date che restano in misura indelebile scolpite nel libro della storia. Una di queste è il 28 aprile 1945. Quel giorno di 75 anni fa moriva Benito Mussolini, fucilato a Giulino di Mezzegra, dopo che il convoglio che lo stava trasportando, con altri gerarchi fascisti, era stato intercettato dai partigiani a Dongo.

Di quel giorno e di quelle ore molto si è scritto e fantasticato. Noi ne facciamo semplicemente memoria riportando uno stralcio del libro “La fine. Gli ultimi giorni di Benito Mussolini nei documenti dei servizi segreti americani (1945-1946)”, Garzanti, aprile 2009, Giorgio Cavalleri, Franco Giannantoni, Mario J. Cereghino” e pubblicata dal nostro Settimanale alcuni anni fa.

Il libro attinge a due memorandum segreti dell’Office of Strategic Service ritrovati da Mario Cereghino negli archivi del National Archives and Record Administration del Maryland (Usa), dopo la declassificazione avvenuta nel 2000 con l’amministrazione Clinton. Memorandum, analizzati nel dettaglio da Cavalleri e Giannantoni e riportati integralmente nel testo, che “illustrano in modo approfondito – scrivono gli autori – quello che accadde nell’aprile del 1945 sull’alto lago di Como”.

Che cosa accadde, allora, quella mattina del 28 aprile 1945 a Giulino di Mezzegra? A descrivere quegli eventi per le forze alleate è l’agente OSS 441 (Valerian Lada-Mokarski). Dopo una prima approssimativa ricostruzione, basata anche su quanto riferito dal quotidiano “l’Unità” in data 1° maggio, la versione definitiva viene inviata il 30 maggio 1945 ad Allen Dulles, direttore del Centro OSS-Europa di Berna, con l’invito di farlo pervenire alle autorità competenti. Una ricostruzione dettagliata, priva di coinvolgimento ideologico e qualsiasi forma di retorica, delle ultime giornate comasche di Mussolini. Il trasferimento del Duce da Milano a Como la sera del 25 aprile, la ricerca di una via di fuga verso Menaggio all’alba del 26 aprile, la ripartenza, all’alba del 27 aprile, verso l’alto lago, quindi la cattura a Dongo.

Il capo della repubblica fascista – scrive l’agente OSS 441 nel suo secondo memorandum – e la sua amante furono portati a Bonzanigo nel cuore della notte tra venerdì 27 e sabato 28 aprile”. Alti erano i rischi che un raid fascista liberasse il capo così “… per prevenire una simile possibilità, Mussolini e la sua amante furono portati in una casa…” reputata sicura. “L’automobile con la quale il gruppo era arrivato fu lasciata a qualche centinaio di metri dalla casa, in una piazzola nei pressi della chiesa. Da qui, la strada diventava troppo stretta per una macchina. Mussolini e la Petacci, scossi ed esausti per gli eventi del giorno, percorsero a piedi il tratto fino all’antica e modesta abitazione, nei pressi del Riale, appartenente a Giacomo De Maria, un semplice contadino, e alla moglie, una donna di mezza età…”. Il De Maria, “fervente patriota”, come lo definisce Lada-Mocarski, non si sottrasse ad ospitare il gruppo partigiano. In breve venne predisposta la stanza per Mussolini e la Petacci. “La coppia dormì all’incirca fino a mezzogiorno di sabato 28 aprile. Dopo essersi alzata, la Petacci chiese della polenta e un po’ di latte. Due porzioni furono portate al primo piano, assieme ad un piatto con dei salumi e del pane razionato. La Petacci mangiò con appetito, mentre Mussolini prese solo due fette di salame e un po’ di pane. Non bevve il latte, così come la notte prima aveva rifiutato il caffè. Temeva di essere avvelenato?…” Da lì a poche ore gli eventi prendono velocità.

 Benito Mussolini e Claretta Petacci in una foto d’epoca

Il Duce – scrive l’agente dando cronaca di informazioni raccolte da testimoni oculari – indossava un soprabito grigio con il bavero rialzato e un berretto calato fino agli occhi; Claretta un semplice tailleur e un foulard di seta sul capo. Entrambi calzavano stivali neri”. Quindi il trasferimento nei pressi di villa Belmonte, qui ai due venne letta la sentenza di morte. Poi l’epilogo: “A Mussolini fu quindi ordinato di spostarsi di qualche passo verso il muro, a nord del cancello. Quasi contemporaneamente, partirono gli spari dal revolver del civile [Audisio] e dal mitra del partigiano [Moretti]. L’uomo di Milano si trovava a nord di Mussolini (a sinistra) e i suoi due colpi sembrano essere stati esplosi una frazione di secondo prima di quelli spararti dal mitra del partigiano. La pallottole [del revolver del civile]  raggiunsero obliquamente il Duce, sulla schiena, mentre i tre proiettili sparati dal mitra lo colpirono direttamente al petto. Il partigiano che aveva sparato questi colpi era posizionato a sud di Mussolini (a destra). Il Duce si accasciò di lato, contro il muro. Fu poi il turno della Petacci. Sollevò le braccia in un gesto disperato, fu raggiunta da diversi colpi al petto e cadde accanto al suo amante. I loro corpi si sfioravano. Mussolini non era ancora morto… In quel preciso momento, dal lato più basso della strada, arrivò un ufficiale dell’unità partigiana locale [il “capitano Neri”]. Voleva capire cosa fossero i colpi di arma da fuoco che aveva udito da sotto. Il capo partigiano [Lampredi] che si trovava tra i fucilatori lo riconobbe e gli fece il gesto di avvicinarsi. Osservando che Mussolini era ancora vivo, il nuovo arrivato lo finì con due colpi del suo revolver…

Nella foto in Homepage uno scatto della fucilazione dei gerarchi fascisti catturati a Dongo con Mussolini.