Sono fra gli ultimi vescovi nominati dal santo papa Giovanni Paolo II (25 gennaio 2005): da qui la mia speciale devozione nei suoi confronti. Ricorro, infatti, alla sua intercessione soprattutto nei momenti impegnativi del mio ministero. Non è cosa da poco la certezza di avvertirlo come mio sostegno, soprattutto quando si fanno sentire il peso e le fatiche delle responsabilità pastorali.

La figura di questo santo Papa mi richiama immediatamente la sua granitica fede in Dio e il suo affidamento filiale a Maria, tanto da averlo ricordato nel suo stemma papale, mediante un epiteto di san Luigi Maria da Montfort: “Totus tuus”. Qui sta tutto il suo segreto, da qui la sua forza, che gli ha permesso di incidere così profondamente nella storia della Chiesa e del mondo, lungo i suoi quasi ventisette anni di pontificato, attraverso un insegnamento dottrinale copioso, composto da encicliche, esortazioni, lettere apostoliche e migliaia di discorsi.

È proprio vero che Dio dona sempre alla sua Chiesa e al mondo le persone giuste al momento giusto. Il Signore risorto guida segretamente i destini della storia, li conduce al bene, a partire anche dalle situazioni più avverse, ma si avvale di collaboratori sapienti, che sanno intervenire con parole appropriate e compiere gesti autorevoli. Dio prepara queste persone incominciando da molto lontano, nei loro contesti di vita e con esperienze le più disparate e apparentemente inefficaci.

Papa Wojtyla proviene da un ambiente ben definito, la Polonia, con una storia di sofferenze e di lotte, di fatiche e di prove, ma anche con un intrepido coraggio, tale da saper affrontare i potenti di turno con le sole armi della fede. Aveva sperimentato fin da piccolo la privazione dei suoi genitori, da giovane il lavoro in fabbrica come operaio, le sofferenze della guerra, il Seminario clandestino (nell’episcopio di Cracovia), quindi l’impegno pastorale a servizio della gente, in modo particolare dei giovani universitari, degli ambienti della cultura, delle lotte operaie, fu anche poeta e attore. Una personalità, quindi, preparata nel tempo per affrontare su scala mondiale quegli avvenimenti che hanno fatto evolvere.

la storia della Chiesa e avviato nel mondo una vera e propria rivoluzione con la sola forza della speranza.
Eletto Papa, sconosciuto da tutti, con un nome difficilmente pronunciabile per noi, primo papa non italiano dopo molti secoli, ha tuttavia sùbito suscitato interesse per la novità della sua provenienza, insieme anche a una grande simpatia, fin da quando è apparso per la prima volta sulla loggia vaticana con quel suo “se sbaglio mi corrigerete!”.

E subito si sentì che un’aria di novità ci si poteva aspettare da questo nuovo pastore, proveniente dal mondo slavo, testimone di quel “secondo polmone” della Chiesa che è l’Oriente, che poteva portare fresche energie di vita al mondo occidentale, già compromesso.

Fin da subito è apparso evidente agli occhi dei più che la Provvidenza regalava alla Chiesa, ma anche al mondo, una personalità straordinaria, davanti alla quale, come dice un detto medievale, “noi siamo come dei nani portati sulle spalle dei giganti”. E da allora ecco i suoi interventi a favore della difesa dell’uomo e della vita, dal suo nascere al morire, della promozione della giustizia, della formazione della famiglia, dell’apertura agli Ebrei e all’ecumenismo, a partire dalla sua enciclica iniziale e programmatica “Redemptor hominis”, in cui è delineata la verità dell’uomo, rivelata in Cristo.

Quindi i suoi viaggi nel mondo, fino agli estremi confini della terra, portando ovunque la testimonianza della verità e dell’amore, a partire dall’Europa, alla quale non ha avuto timore di ricordare il fecondo contributo del cristianesimo lungo i secoli della sua storia, anche se essa lo ha oscurato. Il Papa polacco non ha avuto esitazione nell’imprimere nel cristianesimo la sua forza storica, in un momento in cui molti prevedevano o forse auspicavano una inevitabile eclisse del ruolo delle religioni, in particolare del cristianesimo.

La prima pagina dell’ultimo numero de “Il Settimanale”

Tra i numerosi insegnamenti di papa Wojtyla vorrei sottolineare l’offerta della sofferenza e della debolezza, accettata nella fede, come la testimonianza più credibile e incisiva. Tutto cominciò come conseguenza delle ferite riportate nell’attentato subìto, il 13 maggio 1981, in una data non casuale, ossia nella festa dell’apparizione di Maria ai tre pastorelli di Fatima. Nella estrema fragilità il santo Papa ha scritto una pagina tra le più toccanti e tra le più feconde del suo magistero, fino a consumare la vita negli ultimi suoi giorni, quando a causa del male che lo aveva colpito, non aveva più nemmeno la possibilità di parlare.
Ho avuto la possibilità di partecipare, come vescovo, ai suoi funerali. Mi ha fortemente impressionato, oltre alla magistrale omelia del cardinal Ratzinger, il futuro papa Benedetto XVI, l’impetuoso vento che faceva scorreva le pagine delle Sante Scritture riposte sul feretro, un vento pentecostale che scuoteva le casule dei concelebranti. L’ho interpretato come un deciso invito a non avere paura, appello che san Giovanni Paolo II aveva rivolto all’inizio del suo ministero petrino, con le significative parole che sono seguite: “Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!”. Un forte monito ad assecondare gli appelli dello Spirito e guardare avanti con grande fiducia, audacia e tanta speranza.

+ Oscar CANTONI, Vescovo