Dispiace. Dispiace davvero che per la Giornata della Memoria al Teatro Sociale di Sondrio vada in scena Il Vicario, un dramma rappresentato in Germania nel lontano 1963, che rinnova il ricordo dell’orrore dell’Olocausto ma che, al tempo stesso, perpetua l’ingiusta e calunniosa leggenda che proprio con questa opera fantasiosa ebbe inizio. Quella di una Chiesa colpevole perché “muta davanti al sacrificio degli innocenti”, come riporta la scheda del Teatro Sociale, citando le parole del regista Rosario Tedesco. Quella che mette sotto dura accusa il Vicario di Cristo di allora, papa Pio XII.

Eppure è passato più di mezzo secolo, durante il quale si sono aperti gli archivi e si sono accumulate quantità di testimonianze autorevoli e statistiche di salvati. Ma sembra che nessun documento, nessun libro, nessuna parola di testimone basti mai a coloro che, ancor oggi, preferiscono presentare papa Pio XII come colui che avrebbe taciuto davanti al razzismo nazista, avendo perfino con i nazisti simpatie e collusioni segrete.

L’autore de Il Vicario, il tedesco Rolf Hochhuth, aveva trent’anni ed era un esordiente quando scrisse questo testo messo in scena a Berlino nel 1963. L’accusa a papa Pacelli è esplicita: codarda e cosciente complicità con il nazismo nello sterminio degli ebrei. Ma l’apertura degli archivi segreti della defunta Unione Sovietica ha mostrato, senz’ombra di dubbio, che “l’operazione Vicario” fu organizzata e pagata da Mosca, desiderosa di squalificare il papato.

Non sarebbe, dunque, ora di dire basta a questa leggenda nera, come ha scritto anni fa l’ebreo Paolo Mieli? «L’accanimento storiografico contro un papa come Pio XII ha in sé qualcosa di torbido», ha affermato il celebre giornalista e storico in un articolo pubblicato quand’era ancora direttore del Corriere della Sera. Mieli riportava anche i dati di una minuziosa ricerca, secondo la quale soltanto a Roma 4.395 ebrei trovarono scampo in un centinaio di istituti religiosi femminili, in quarantacinque maschili e in qualche decina di parrocchie. Tutto ciò con l’avallo del Papa. Un numero enorme, quello dei sottratti alla deportazione, considerato che furono 1.007 gli ebrei deportati in Germania che i tedeschi riuscirono a razziare nella tristemente celebre retata nel ghetto di Roma, il 16 ottobre 1943.

Del resto, quando Pio XII morì, il rabbino capo di Roma Elio Toaff rilasciò una dichiarazione ripresa da tutti i giornali italiani l’11 ottobre 1958. Diceva: «Più di qualunque altro, noi ebrei italiani abbiamo avuto modo di beneficiare della grande e caritatevole bontà e della magnanimità del rimpianto pontefice, durante gli anni della persecuzione e del terrore, quando ogni speranza sembrava per noi essere morta». E quando cominciò la campagna di denigrazione contro il Papa della Seconda Guerra Mondiale, Toaff ne rilasciò una seconda, il 28 giugno del 1964, che ancor più rafforzava quanto già detto.

Gli archivi documentano che quand’era nunzio a Monaco di Baviera, Eugenio Pacelli fu il primo a denunciare la pericolosità del Partito fondato da Hitler. Scrivendo al segretario di Stato, il cardinale Pietro Gasparri, lo mise in guardia dall’ideologia del nazismo definendola «l’eresia peggiore del nostro secolo».

E alla domanda se una protesta pubblica contro Hitler avrebbe salvato gli ebrei dalla persecuzione, risponde la Storia. Furono, infatti, diversi e dolorosi i fatti che convinsero la Santa Sede a non intervenire pubblicamente. Un esempio. Nel 1937 Pio XI pubblicò l’unica enciclica scritta in tedesco Mit brennender Sorge, una denuncia energica del nazionalsocialismo e del razzismo. Questo durissimo documento contro il potere politico tedesco fu introdotto in Germania, stampato in 12 tipografie, distribuito a tutti i sacerdoti responsabili di chiese e parrocchie. Il 21 marzo 1937 fu letto da tutti i pulpiti. Quale fu il risultato? Fu rallentata la persecuzione degli ebrei? Assolutamente no. Hitler montò su tutte le furie, e le misure contro gli ebrei furono inasprite. Le dodici tipografie furono confiscate dalla Gestapo e molte persone finirono in prigione.

L’apparente silenzio ufficiale fu dunque il solo modo di salvare il salvabile, anche perché al contempo  si formulavano energiche proteste e conducevano concitati colloqui nelle sedi appropriate, le ambasciate e i comandi militari. Questo comportamento ha permesso ciò che non è stato possibile altrove: in nessuna nazione si sono salvate così tante vite come in Italia. Papa Pacelli «è stato determinante nel salvare almeno 700 mila ebrei, ma più probabilmente 860 mila, da morte certa per mano dei nazisti», ha scritto lo storico ebreo Pinchas Lapide. E come si può parlare di complicità quando circa 8 mila dei 31 mila preti cattolici presenti in Germania nel 1931, furono eliminati dal regime tedesco?.

Onesti mea culpa per l’errata informazione stanno, però, cominciando. Poco meno di un mese fa, la celebre BBC inglese ha ammesso che un suo servizio televisivo che accusava la Chiesa cattolica era basato su false notizie «che hanno perpetuato una visione che contrasta con l’equilibrio delle prove». E a prova si può citare anche Israel Italo Zolli, rabbino capo a Roma durante l’occupazione. Nel 1945 chiese di diventare cattolico (insieme alla moglie e alla figlia) e volle addirittura assumere il nome di Eugenio in onore a papa Pacelli. La sua storia è stata raccontata da un’ebrea americana, Judith Cabaud, in un libro pubblicato dalle Edizioni San Paolo.

MILLY GUALTERONI