Questa lettera è stata inviata dal nostro direttore don Angelo Riva al direttore de La Provincia Diego Minonzio, a commento del suo editoriale apparso sul quotidiano domenica 22 gennaio

don_angelo_rivaCaro Diego,

ho letto e riletto il tuo editoriale sulla Provincia di domenica 22 gennaio. Un pezzo di pregio, da consigliare a tutti, nel frastuono di tante voci insulse e piene di vento. Partendo dall’ultima fatica cinematografica di Martin Scorsese (Silence, film d’epoca su una storia di abiura e martirio per la fede cattolica, da parte di alcuni missionari gesuiti, nella livida realtà del Giappone del 1600), poni con acutezza la domanda più assordante di tutte: il dolore dell’uomo e il silenzio di Dio.

Quella domanda che un elementare meccanismo di censura della nostra mente, funzionale a non avvelenarci troppo l’esistenza, costantemente rimuove dal nostro spazio visivo; ma che poi inevitabilmente ci ripiomba addosso, come un pugno di incontro sferrato allo stomaco.

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I ragazzi del bus ungherese. I sepolti vivi di Rigopiano. Un ponte che crolla sotto il peso di un TIR nell’istante in cui ci passa sotto una macchina (la sfortuna, se c’è, a volte ha mira di cecchino…). Il bambino malato oncologico, pallido e rasato. Ma in fondo anche l’adulto, o l’anziano. E Giulia e Giorgia ce le ricordiamo, le due sorelline del terremoto, l’una scampata grazie al corpicino dell’altra, che le ha fatto da scudo alla violenza dei calcinacci? «Dio, se ci sei, dov’eri?».

263x350xcroce-vf-treviso.jpg.pagespeed.ic_.0_AopGr7ESIl dolore innocente – dei bambini, soprattutto – è da sempre la più forte apologia dell’ateismo. Lo diceva con stizza Ivan Karamazov al fratello Alyoscha, restituendogli «il biglietto d’entrata per il tuo paradiso», nel romanzo di Dostoevskij. Lo lasciava intuire – costernata per aver avuto un pensiero simile – una nonna il cui nipotino moriva in modo atroce, proprio mentre lei si trovava in Duomo a raccomandarlo alla Madonna con una candelina: «ma Dio, dov’eri?». Se Dio è buono, queste cose non devono succedere. Se succedono, Dio non è buono. Ma di un Dio perfido e cattivo non sappiamo che farcene, meglio che non esista. Ecco il sillogismo perfetto dell’ateismo. Il dolore innocente è il grande assioma contro l’esistenza di Dio.

Ci hanno provato in molti, a smontarlo. Jaques Maritain scrisse un saggio memorabile: Dio e la permissione del male. Alessandro Manzoni si appellava alla Provvidenza: «Dio non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne una più certa e più grande». Verissimo, per chi crede. Ma non sempre il teorema di Renzo e Lucia si conclude così. E allora la domanda ritorna. Insolente, abrasiva, sanguinante: «Dio, dove sei? Perché taci?».

Comporre Dio e il male è da sempre il più grande e insoluto cruccio dei teologi. I tentativi di armonizzazione alla fine non convincono: troppo filosofici. Forse a metterci sulla strada giusta è Eli Wisel, scrittore ebreo, nel romanzo autobiografico La Notte. Narra che, di fronte a un deportato di Auschwitz che illividisce e stramazza sulla forca, alla solita domanda sussurrata da qualcuno dei prigionieri («Dio, dove sei?»), infreddoliti dal gelo e costretti ad assistere alla punizione esemplare, qualcun altro dai ranghi sussurra: «è là che sta morendo». Paul Claudel, dalla sponda cristiana, gli fa eco: «Dio non è venuto a spiegare il dolore, ma ad abitarlo».

Un lampo nella notte. Una luce in fondo al tunnel. Nel dolore Dio c’è. Silente, perché sa che le nostre parole lì si spezzano, come fuscelli piegati dall’uragano. Allora anche Lui – che è la Parola – tace. Ma c’è. Il dolore l’ha vissuto, l’ha guardato in faccia, ha lasciato che affondasse nella sua carne innocente.

Non è una riposta. Tanto meno di quelle a poco prezzo reperibili al supermercato religioso. Semmai è una proposta: Dio si è inzuppato del nostro dolore. E allora tu prova a viverlo. Chissà, potresti trovarLo lì. A farti compagnia. Come un fratello. Come un Padre. Non è una stazione di arrivo, non è la soluzione già data, come quella del cruciverba in ultima pagina: semmai è una via (la via crucis) da provare a percorrere. Prendi la tua croce e seguimi.

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Solo così la fede nella risurrezione, nel paradiso finale – che rimane per chi crede certissima –, può non essere una soluzione a buon mercato, irrispettosa e quasi impudica e profanatrice della sacralità del dolore. Ribadisco: non è una risposta.

È la sfida che il Dio crocifisso lancia alla nostra libertà. Troppo poco per le nostre angosce, per le nostre lacrime? Forse. Di sicuro l’alternativa è una sola, e si chiama disperazione. E se fosse invece la verità? Se fosse non «troppo poco», ma il tutto?

Don Angelo Riva