A colloquio con padre Lorenzo Snider, missionario della Società Missione Africane originario di Villa di Chiavenna. Il suo mese missionario con la comunità di Foya

Nel mese di ottobre che si è da poco concluso Papa Francesco ci ha invitato ad andare ai crocicchi delle strade per invitare tutti al banchetto nuziale. Cosa significa questo nella tua esperienza missionaria nella comunità di Foya?
«Parlare di banchetto con il frigo pieno o con il dubbio sul pasto di domani non è la stessa cosa. Parlare della casa del Signore a chi vive in una villa o in un monolocale o in una capanna di fango, non è la stessa cosa. Perché l’eucarestia sia autentica, perché la speranza del banchetto eterno sia visibile, non c’è altra strada che la condivisione, che il servizio, che il mettere nelle mani del signore i pani e i pesci che abbiamo. Qualche settimana fa mi ha commosso la richiesta di un gruppo di donne anziane della parrocchia che chiedevano di poter aiutare con un sacco di riso una loro “collega” in difficoltà. Così come il tentativo che stiamo facendo insieme per aiutare le persone con disabilità fisica a trovare un piccolo lavoro, iniziare un commercio informale, a produrre sapone, ad andare a scuola: anche questo è invitare al banchetto, nessuno deve essere messo da parte o sentirsi escluso. L’Eucarestia è la nostra forza, per il ricentrarci sul Vangelo, per il diventare ciò che mangiamo, Parola e Pane».

Quale invito ti senti di rivolgere alle nostre comunità a conclusione di questo tempo missionario?
«Invito a ricordarci, a fare memoria del fatto che siamo dei privilegiati! Perché crediamo al Signore della vita, perché possiamo nutrirci della sua parola e del suo corpo, perché, in lui troviamo il senso del nostro andare, delle fatiche e delle vittorie, della malattia e della gioia. Essere missionari non è un altro invito a fare cose, non è un altro fardello messo sulle spalle di chi ha già troppi problemi per vivere. È la semplice e necessaria conseguenza del nostro vivere nel Signore, del sentire vibrare le corde del nostro cuore con la sua Parola. La tristezza non dovrebbe far parte dei nostri sentimenti. La rabbia magari, quella sì, davanti alle ingiustizie, al male, all’egoismo fatto sistema. Una rabbia che diventa forza filtrata dell’amore del Signore e dalla sua croce. La tristezza no».

Oggi si sente spesso dire che la missione è qui, quasi a voler dire che la missione ad gentes non abbia più senso. Cosa ti senti di rispondere? Pensi che in quella frase ci sia insito il rischio di una chiusura più che di un’apertura alle “periferie” che esistono anche qui da noi?
«La missione è qui. Questo è vero tanto in Italia che in Liberia dove mi trovo ora. Qui e ora! E non ci sono scuse per nessuno. E nessun discepolo del Signore può pensare che la missione sia il lavoro di alcuni specialisti: i missionari… Invece il Signore ci conduce su mille strade diverse per vivere il nostro essere inviati: nel matrimonio, nell’impegno sociale e politico, nell’educazione, nella cultura, nel sacerdozio e nella vita consacrata, nei piccoli gesti compiuti con amore, nel lavoro, nel diventare ponti tra popoli e Chiese, anche nel partire per testimoniare di un amore più grande di ogni nazione e popolo. Quello che poi è importante è uscire dalla nostra confort zone e rischiare di vedere il mondo con gli occhi degli altri, di chi fa fatica a vivere prima di tutto, di vedere noi stessi, gli altri e il mondo con gli occhi del Signore. Il rischio poi di vedere e passare oltre come il prete e il levita della parabola… è reale, ed è il più grande tradimento della nostra fede».

L’ultima volta che c’eravamo sentiti ci avevi parlato delle pesanti conseguenze di ebola e covid nella realtà sociale della Liberia. Com’è oggi la situazione? Le crisi internazionali stanno in qualche modo impattando anche sulla vostra realtà?
«Nei giorni scorsi il nostro presidente, Joseph N. Boakai era in Italia, anche per cercare di tessere migliori relazioni diplomatiche e di collaborazione con il “belpaese”. Qui la gente continua a fare fatica e la Liberia rimane della triste lista dei 10 Paesi più poveri del mondo. Da questa posizione le grandi crisi internazionali sono guardate con il distacco di chi deve pensare a cosa mangiare domani, a come mandare i propri figli a scuola e trovare il modo per comperare le medicine per la figlia ammalata, di chi tenta di ricostruire un paese che non si è ancora ripreso dai massacri e dai bambini soldato dalla guerra di Charles Taylor. Ci sono grandi margini di miglioramento e di sviluppo. Una cosa che sto apprezzando in questo periodo è l’appello alla responsabilità di tutti per costruire il paese, senza promesse irrealizzabili o populismi, ma facendo leva sulle potenzialità immense di questa terra e di questo popolo».