Martedì 4 giugno, a Sondrio, alle ore 20.45, presso il Cinema Excelsior, si è svolto l’incontro dal titolo “È una Chiesa per giovani? – Proviamo ad ascoltarli”. La serata è stata proposta nell’ambito delle iniziative diocesane per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Il titolo è quello del libro di Alberto Galimberti – scrittore, giornalista, docente dell’Università Cattolica di Milano – il quale, presente a Sondrio, ha illustrato i contenuti del suo testo, edito per i tipi delle edizioni Ancora: una vera e propria indagine che ha dato voce a giovani di tutta Italia, e non solo, sul loro rapporto con la fede e con la Chiesa. Un modo per rendere concreti gli spunti che giungono dal Messaggio di papa Francesco, “Dalle social network communities, alla comunità umana”. E, sicuramente, il modo in cui i giovani vivono il proprio rapporto con la fede e la Chiesa è uno spaccato interessante di “comunità umana”. Il libro di Galimberti si completa con una serie di interviste di approfondimento a esperti e sociologi come Alessandro D’Avenia, Chiara Giaccardi, Franco Garelli, Alessandro Rosina.

L’incontro di martedì sera è stato introdotto dalle testimonianze spontanee e vivaci di alcuni giovani valtellinesi, i quali hanno condiviso idee, aspettative, risorse e difficoltà del proprio rapporto con la Chiesa: Chiara Iacuone, della comunità pastorale di Sondrio, indicata fra i sinodali della diocesi; Andrea Serini, educatore salesiano dell’Oratorio San Rocco di Sondrio; Giovanni Della Fonte che ha parlato a nome del gruppo di giovani che, in provincia di Sondrio, vivono l’esperienza dell’Operazione Mato Grosso. In chiusura sono intervenuti monsignor Angelo Riva (quale delegato episcopale per Cultura e Comunicazione e direttore del “Settimanale”) sull’esortazione apostolica dopo il Sinodo dei Giovani “Christus Vivit”, e don Luca Castelli – SDB, sulla centralità dell’Oratorio. «Non ci sono risposte preconfezionate – è la riflessione di Galimberti . I giovani sono aperti al mondo, alla fede, alla Chiesa. Nel mio libro non ho cercato storie “perfette”, ma vere, di ragazzi credenti e non. Ho sentito il bisogno di scrivere per fuggire dai luoghi comuni e ho incontrato giovani maturi. Quello che manca è un vero ascolto delle giovani generazioni». Non “santini” nè “martiri”, ma ragazzi e ragazze della generazione del tempo “liquido” che hanno aperto il cuore, confidando «domande e inquietudini», condividendo una parte di sé, fra gioie e ferite.

La serata ha tenuto incollato il numeroso uditorio intervento all’Excelsior per quasi due ore. Le 12 storie sintetizzate da Galimberti hanno restituito lo spaccato di una generazione che non corrisponde alle tinte con le quali viene dipinta. La scrittura del libro «è stato un viaggio sorprendente, alla ricerca di risposte mai banali». Ci sono giovani che si sentono accolti e parte della Chiesa, altri che vivono in modo conflittuale il proprio rapporto con le gerarchie, le strutture, una ritualità a volte difficile. Di sicuro, dal libro e dalla serata, è emerso che l’età giovanile, pur nella sua bellezza, non è sinonimo di superficialità e spensieratezza: è un tempo nel quale non mancano prove e ostacoli, certamente formativi, ma a volte profondamente ingiusti. Il libro di Galimberti, che a Sondrio ha arricchito i contenuti del suo testo a partire dall’essere a sua volta giovane (28 anni), si è ben integrato con le testimonianze portate da Chiara, Andrea e Giovanni. Le parole risuonate con maggiore frequenza sono state “testimonianza” e “gratitudine”, “profezia” e “Provvidenza”, con tanti spunti interessanti, a partire dall’importanza del valorizzare i giovani a prescindere, in un tempo, il nostro, che soccombe alle logiche della prestazione (atteggiamento che oggi costringe il 30% della popolazione nella fascia 20-30 anni ad assumere ansiolitici e antidepressivi). In un’epoca in cui si prova lo «spavento per una società senza Dio» – è stata l’espressione efficace di Giovanni di Operazione Mato Grosso – i giovani sono valore e vanno sostenuti nel loro continuo nascere e rinascere, con un’attenzione particolare a un’età cruciale per le decisioni: i 17 anni (come suggerito da Alessandro D’Avenia, segnato, a quell’età, da un testimone d’eccezione, il suo professore di religione… padre Pino Puglisi). In chiusura belle le due sollecitazioni dei “don”: monsignor Riva con l’icona di Emmaus, quando Gesù si mette a camminare con i discepoli anche se la strada è sbagliata e, insieme a loro, ritorna sul percorso giusto, nel rispetto della libertà personale («perché con i giovani occorre “esserci” ed “essere”); e don Castelli, con la conclusione che sì, pur nelle sue criticità e brutture, la Chiesa “è” per i giovani, perché la Chiesa “è” Gesù Cristo, e negare l’una significherebbe negare l’Altro…