Per descrivere lo spirito del viaggio che abbiamo compiuto nella nostra missione diocesana, lo assimilerei a una visita fatta a vecchi amici a cui hai lasciato l’appartamento dove per anni hai abitato: giri, noti i cambiamenti, ti sorprendi di alcune soluzioni che non avevi immaginato, ti mordi la lingua quando alcune novità non le avresti mai fatte… È sempre casa tua, la riconosci, tuttavia capisci che non è più affidata a te e che, in un certo senso, non ne sei mai stato il padrone.

Lo scopo principale era tornare nella parrocchia di Mogodè e permettere a don Alessandro di salutare, dopo tre anni dal ritorno in Italia, i suoi vecchi parrocchiani, i preti e le presenze significative che nel tempo abbiamo apprezzato in questa chiesa locale dell’estremo nord del Camerun; di conseguenza anche verificare come vengono portate avanti le cose e dimostrare la nostra vicinanza e il nostro sostegno al cammino della diocesi di Maroua-Mokolo, senza pretese dato che questo incarico era già stato svolto con serietà e in ufficialità da don Giusto e don Angelo nel mese di ottobre.

Camerun

Questo viaggio soddisfaceva un’esigenza molto personale, è stato supportato dal Centro missionario diocesano, nelle nostre parrocchie, da diversi amici presenti nella Chiesa locale che ci hanno accolto e aiutato e ci hanno dedicato tempo ed energie con piacere. Proprio come si riceve un vecchio amico che non vedi da tanto!

GUARDA LA GALLERIA DEL VIAGGIO ALLA PAGINA FACEBOOK DI MISSIO COMO (CLICCA QUI)

Abbiamo vissuto per dieci giorni di viaggio senza tregua, fortunatamente senza alcun imprevisto, quello che spesso hanno provato quelli che si sono affacciati sul “pianeta Africa”: disorientamento, un’esplosione di vitalità, colore e calore umano, il ribaltamento delle certezze su cui si appoggiano i nostri abituali ritmi di vita, lo scandalo per certi contrasti accettati con rassegnata serenità dalla gente, il peso di certe zavorre che impediscono il vero sviluppo della dignità di questi popoli.

Poi abbiamo potuto godere di vedere la gioia di chi accoglie il vangelo come una novità di vita e come un nuovo orizzonte che si spalanca davanti agli occhi, nell’esperienza di una Chiesa vitale, consapevole di ciò che conta e di ciò che conta meno. In questo, niente di nuovo.

20170206_104655

Abbiamo visto anche tante dinamiche umane che non cambiano spostandosi sul planisfero: certe mediocrità, certe impazienze, la ricerca del colpo di fortuna chissà dove piuttosto che costruire il proprio futuro in casa propria, la corruzione, l’omertà, la barriera di diffidenza verso il diverso che, una volta superata, permette un’amicizia autentica e bella.

La conferma che è nelle mani dei piccoli e dei meno furbi il futuro della Chiesa, che il Cristianesimo non cresce per proselitismo e neanche con grandi strutture, ma per attrazione, nel fuoco che si accende quando gli occhi si incontrano e le mani si intrecciano e nella trama dei rapporti umani illuminati dalla grazia di Dio si fa strada la speranza e la voglia di darsi da fare.

Per non parlare dei chiacchieroni, dei furbetti, dei fatalisti e dei rassegnati, di chi si stufa facilmente delle parole, di chi alza troppo il gomito, di chi arriva in ritardo in chiesa, di chi ti dona una macchina che però è scassata, di chi ha una scorta inesauribile di parole e di chi non riesce ad aprire bocca ma con gli occhi dice tutto. Tutte queste cose le abbiamo viste laggiù e sappiamo che ci sono qui, le riconosci ovunque; semplicemente, sono umane!

IMG_9607

Nel concreto dei progetti e della realtà ecclesiale della diocesi abbiamo notato che il fuoco non si spegne; diverse opere avviate dai nostri fidei donum viaggiano a pieno regime, le scuole sono più frequentate di prima, il timore del terrorismo e la repressione dell’esercito non sono cessati ma sono diminuiti.

Purtroppo non abbiamo potuto visitare il campo profughi di Minawao che ospita circa 50.000 persone in fuga dall’inferno della Nigeria del nord oppressa dai terroristi di Boko Haram: nostra mancanza di tempo e anche voglia da parte della gente e delle autorità di ignorare questa ferita, che ricorda a tutti che non è tutto normale.

L’impressione maturata sulla strada del ritorno è che la nostra Chiesa di Como ha “svezzato” una Chiesa (nel suo aspetto di gerarchia ma anche di comuni battezzati) che ora è adolescente, vuole fare le sue scelte e darsi le sue priorità in autonomia; tutto ciò tra errori, fughe all’indietro nel desiderare finanziamenti che permettano di non faticare, rifiuto del passato o incapacità di prepararsi al futuro.

16807639_1398917553511689_8278388593550921938_n

C’è anche molto di buono e tante cose vanno avanti bene e diverse opere sono state completate; soprattutto, se abbiamo costruito una nuova mentalità nel cuore delle persone i frutti arriveranno e già si intravedono.

don Filippo Macchi