Alla fine della celebrazione del funerale la bara di don Renzo Scapolo – di legno grezzo, semplice e solida, come è stata la sua vita – era coperta di simboli: la stola, segno sacerdotale del servizio, la bandiera della pace, ideale per chi ha lottato tutta una vita, la maglietta con il logo di Coexistence e un lucchetto, a ricordare quello che utilizzò per impedire che le porte della sua chiesa venissero chiuse all’accoglienza.

C’erano tanti volti la mattina di giovedì 4 maggio nella chiesa di Muggiò per il funerale del sacerdote, morto ieri all’età di 79 anni. Quasi 450 fedeli, tra cui una sessantina di sacerdoti, e il vescovo Oscar Cantoni, che ha voluto celebrare la messa nella parrocchia in cui condivise, proprio con don Renzo e con don Aldo Fortunato, all’inizio degli anni ’80, il ministero sacerdotale.

«Siamo davanti a una figura di credente che ha inquietato molti, perché don Renzo non si è accontentato dei proclami o di buone intenzioni, perché non ci ha annunciato la Parola di Dio per poi restare tutto come prima, perché sopraffatti dagli impegni e dalle tante urgenze immediate.

Don Scapolo è stato un “prete scomodo”, sia per i fedeli, che per i confratelli sacerdoti e forse anche per i vescovi, come uno dei profeti che Dio, di tanto in tanto, invia a visitare il suo popolo».

Così ha detto il Vescovo ricordando l’impegno di don Renzo nel portare avanti quell’ideale di “Chiesa in uscita” che è oggi diventato uno dei marchi distintivi del pontificato di Papa Francesco.

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“Il suo stile, da vero pastore – ha proseguito – era quello di coinvolgere anche gli altri, di educare le comunità cristiane alla partecipazione, perché non rimanessero inerti davanti alle difficoltà, ma prendessero responsabilmente le iniziative più adatte, a qualunque costo”.

Lo ricordano bene i parrocchiani di Camerlata, di Caversaccio e di Plesio che lo ebbero come pastore, ma anche i tanti – laici e sacerdoti – che condivisero con lui l’impegno al favore degli ultimi in Argentina come nei Balcani.

Molti di loro hanno voluto prendere la parola al termine delle celebrazione per ricordarlo.

Don Battista Galli ha associato la figura di don Scapolo a quella di un altro don Renzo, Beretta, ucciso nel 1999, a Ponte Chiasso. “Due grandi maestri di vita”, li ha definiti.

“Da don Scapolo – ha raccontato don Battista – ho imparato due cose: la prima è che per aiutare le persone bisogna prima conoscerne la situazione in cui si trovano, incontrarli, capirli e poi far sapere, raccontare, testimoniare. La seconda è che non bisogna mai rassegnarsi all’ingiustizia, all’estrema povertà, alla cultura dello scarto, compresa l’indifferenza che lo ha spesso circondato. Questo don Renzo riusciva a farlo grazie ad un rapporto personale e intenso con il Signore, nella preghiera”.

Don Umberto Gosparini, compagno di missione in Argentina, ha parlato di una fede “a volte travagliata che si esprimeva nell’imitazione di Cristo servo”.

Gli interventi si sono susseguiti nella commozione e partecipazione dei presenti. Tra i familiari di don Renzo anche la nipote Daniela che ha voluto ringraziare lo zio a nome di tutti i giovani scossi da quel sacerdote di provincia. “Cosa fai per gli altri?, mi ripeteva sempre mettendomi in crisi”.

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E poi il ricordo di Sarajevo e dell’associazione Sprofondo, da lui fondata, quello  di don Renato Sacco e don Albino Bizzotto di Pax Christi con il richiamo alla guerra che continua in troppe parti del mondo.

“Non dobbiamo essere tristi perché questo è solo un arrivederci. Ora don Renzo sarà in paradiso con la sua telecamera in mano”, ha scherzato don Bizzotto, invitando tutti a ricordarlo con un sorriso.

Infine l’intervento della comunità libanese di Como, un modo per tornare agli anni ottanta quando don Scapolo, tra i primi, si prodigò per aiutare i profughi che arrivavano in Italia dal Paese dei cedri. Un gruppo di fedeli musulmani venuti a ringraziare quel prete che seppe accoglierli.

“A te la nostra gratitudine da parte dei figli di chi 28 anni fa hai custodito sotto il tuo mantello”, hanno detto prima di poggiare le magliette con il simbolo “Coexistence” sulla bara.

E’ il finale più bello, un finale senza lacrime ma con il cuore gonfio di Grazia per la testimonianza di una vita donata. Ora tocca a te don Renzo, aiutaci a raccogliere il tuo testimone come ha ricordato il Vescovo Cantoni chiudendo la sua omelia:

«Caro don Renzo: aiuta ora dal cielo la nostra Chiesa perché faccia della carità la prova suprema della fede. Continua a inquietarci perché non cessiamo mai di amare il  Signore attraverso quell’impegno di carità che ci permette di affrontare le nuove sfide di oggi, con lo stesso ardore, passione ed entusiasmo con cui tu stesso ti sei prodigato. Amen».