“La cosa nuova è che non molto tempo fa, non più di un anno, si è creata a Korogocho un’altra discarica più piccola proprio sotto la chiesa e la scuola di St. John, da una parte, e le case del quartiere di Ngunyumu, dall’altra. In breve tempo lo stagno che si trovava lì è stato riempito di rifiuti che poi vengono bruciati. St. John è rimasta, da allora, preda di un fumo acre costante che copre l’anfiteatro che funziona da chiesa, ma, soprattutto, la scuola che ospita quasi mille bambini”.
A denunciare la difficile situazione che vive la popolazione di uno dei più grandi slum di Nairobi, è padre Stefano Giudici, missionario comboniano originario della diocesi di Como, già parroco della parrocchia di St. John e ora impegnato come formatore nel seminario internazionale della Congregazione nella capitale keniana. Padre Giudici non ha però dimenticato la sua gente e ha deciso di lanciare un appello perché “solo lo spostamento della protesta a livello internazionale può, forse, smuovere qualcosa”.
Purtroppo, precisa il missionario, non si tratta di una novità assoluta: da trent’anni, infatti, la popolazione dello slum convive con la presenza dell’immensa discarica di Dandora, situata proprio di fronte a Korogocho e sotto le case di Dandora.
La discarica, chiusa nel 2001, non ha però mai smesso di raccogliere, bruciare e selezionare (da quelli che vi ci lavorano) i rifiuti della capitale. Oggi però la situazione è ulteriormente peggiorata con la nascita di questa nuova discarica illegale.
“A nulla – precisa padre Giudici – sono valse le pressioni e le proteste della gente, della Chiesa, di parte della società civile. I due ‘cartelli’ che gestiscono questa discarica sono coperti dal potere delle autorità, dalla polizia al ‘chief’ (l’autorità amministrativa a Korogocho) ai rappresentanti locali nell’Assemblea della Contea. Tutti sono coinvolti, in un modo o nell’altro, direttamente (prendendo tangenti sul business illegale) o indirettamente, per inazione e indifferenza. La gente prima protesta, poi, come è abituale per i poveri più poveri, impotenti, inascoltati e dimenticati, si adatta e si limita a dire ‘ci siamo abituati, non possiamo fare niente’. E ovviamente ha paura dei cartelli (rigorosamente ‘bipartisan’, cioè appoggiati politicamente dai due maggiori partiti, proprio quelli che si stanno combattendo oggi per le elezioni presidenziali)”.
“Davvero – conclude il missionario – il senso di impotenza è grande perché quelli a cui ci si dovrebbe rivolgere per ottenere giustizia, sono proprio quelli che beneficiano di questa situazione”.
Proprio in queste ore i cittadini del Kenya sono chiamati alle urne per le elezioni presidenziali. Un voto che si è reso necessario dopo l’ annullamento delle elezioni dell’8 agosto scorso da parte della Corte suprema per “irregolarità e illegalità”. In quell’occasione vinse il presidente in carica Kenyatta con il 54% dei voti, a fronte di un 45% attribuito al principale sfidante Odinga che non si presenta a questa nuova tornata perché ritiene non ve ne siano le condizioni.