Un vero e proprio galateo “per costruire relazioni di valore on-line”. La comasca Rosa Giuffrè, consulente per la Comunicazione Digitale e blogger, sintetizza così il senso della sua ultima fatica: il libro “Social Education”- vivere senza rischi internet e i social network”.

“Troppo spesso – ci spiega l’esperta – vedo da parte degli adulti un atteggiamento negativo nei confronti del mondo dei social network e un sentimento di chiusura di fronte alle opportunità che la rete può offrire. Credo, invece, e l’ho provato in prima persona, che i social possono essere un luogo in cui costruire relazioni di valore. Basta saper usare qualche accorgimento”.

Consigli e trucchi che saranno parte integrante del corso  “Presi nella rete” che si terrà al Centro pastorale card. Ferrari di Como il 13, 20 e 27 gennaio. (Iscrizioni entro il 23 dicembre – tutte le info al link). 

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Rosa Giufrè, perché dedicare un libro alla “Social Education”?
Perché mi sono accorta di come, seppur quasi tutti abbiamo avuto tra le mani i social network (facebook, linkedin, twitter, instagram, per certi versi anche whatsapp), si fatichi a capirne le dinamiche. Da qui la convinzione della necessità di ripartire da capo, dalle basi.

Il libro è rivolto sopratutto ai “social tardivi digitali”. Ci puoi dire chi sono?
I social network hanno cambiato il nostro modo di comunicare, radicalmente. Ma se per i più giovani, abituati a sperimentare e imparare facendo, l’adattamento è stato più semplice (anche se permangono rischi e criticità) per gli adulti – “i social tardivi digitali” – è tutto più difficile. Una situazione a cui le persone reagiscono in maniera molto diversa.

Puoi farci qualche esempio?
Da una parte ci sono i super esaltati che confondono la facilità con cui si entra in queste piattaforme con la facilità di gestione e da qui nascono molti errori e problemi. All’estremo opposto ci sono i resistenti, quelli che si auto-escludono perché ritengono i social come qualcosa di intrinsecamente brutto, ma così facendo finiscono per perdere davvero molte possibilità sia relazionali che professionali o di business. Non solo: il rifiuto degli adulti rischia di privare questi spazi della presenza educativa che dovrebbe invece essere necessaria.

In che modo?
Se crediamo che ogni adulto nella società abbia un ruolo educativo – indipendentemente che sia o meno catechista, allenatore o, semplicemente, genitore – è altrettanto vero che gli adulti sono chiamati ad abitare i social e a portare qui il loro valore, la loro esperienza. Perché in fondo la rete è un luogo da abitare come qualsiasi altro. Con questo non voglio dire che si debba comprendere i social per controllare i figli, non sarebbe possibile. Si tratta invece di avere una presenza positiva o, forse, sarebbe meglio dire educativa. Troppo spesso, invece, gli adulti sono i primi a cadere negli errori, ad attuare comportamenti scorretti. Le cronache ci insegnano che i cyberbulli non sono solo ragazzi…

Nei tuoi incontri, insisti spesso sulla necessità di avere uno sguardo positivo sul mondo dei social. Ci spieghi perché?
Io posso accettare che una persona non voglia usare i social network, ma solo dopo che li ha conosciuti. Penso alla mia esperienza personale e alle tantissime occasioni di relazione e di arricchimento personale che sono nate grazie ai social. Sta a noi imparare a mettere i filtri, a capire quello che vogliamo o non vogliamo fare. Permettetemi un parallelismo: nel mondo esistono persone squilibrate e folli, ma non per questo ci chiudiamo in casa e diciamo che il mondo non ci interessa. Certo esistono i pericoli e i rischi, ma ci si può proteggere.

Se guardiamo alla velocità con cui cambia il mondo di internet risulta difficile immaginare quello che sarà tra pochi anni. Quali sono i valori che dovremmo cercare di salvaguardare?
La grande falsità che ti induce a pensare il mondo dei social network e, più in generale, internet è quello di avere a che fare con uno schermo luminoso e non con delle persone. è come se ci fosse una sorta di sipario tra noi e gli altri. Non è così, perché non esiste separazione tra virtuale e reale. Nel momento in cui scrivo una cosa divertente e un’altra persona ride sto incidendo sulla sua giornata, sulla sua vita. Questo vale ovviamente anche per le cose negative. L’utilizzo dei social, come per qualsiasi altro atteggiamento nella vita, non può prescindere dal riconoscere come vi sia una relazione tra persone, di come vi sia un altro da conoscere, incontrare, e di come questo rappresenti un valore in sé da difendere e tutelare. Riprendendo una frase di don Antonio Spadaro “il mio prossimo è quello che è connesso con me in questo momento”.

Da tempo utilizzi anche i social per testimoniare la tua fede. Hai inventanto anche un hastag “Respira” che cela la parola “prega”. Come nasce questa scelta?
Personalmente è sempre stato difficile per me pensare ad una divisione tra l’ambiente lavorativo e quello della mia fede. Nello stesso momento però vedo che on-line ci sono cattolici che hanno un modo di comunicare la loro fede molto aggressivo. Assistiamo a delle vere e proprie Crociate 2.0 e questo proprio non mi piace. è vero che i social generalmente non sono un ambiente accogliente per chi crede, soprattutto per chi si professa cattolico, ma attaccare ed esprimere giudizi sugli altri non credo sia la risposta. Nel mio piccolo mi limito ad essere quella che sono, a raccontare le esperienze che vivo, anche sul versante della fede, portando la mia testimonianza. Penso al racconto della mia esperienza sul Cammino di Santiago o dei viaggi a Medjugorie. è incredibile quante persone, anche non credenti, mi abbiano scritto in privato perché toccati da queste mie condivisioni. Da parte di tanti credenti vedo invece un po’ di timore nell’esprimere il proprio credo, ma sono convinta dell’importanza della testimonianza. Senza fare false crociate, senza giudicare, ma portando quello che si è.

Pensi che il mondo cattolico sia un po’ indietro per quanto riguarda le opportunità offerte dai Social?
Penso di sì. Soprattutto per quanto riguarda gli organi ufficiali. Qualcosa si sta però muovendo: penso a tante persone che cercano di riempire questo vuoto, a volte bene altre volte facendo errori. Mi ripeto: non si tratta di dover fare cose artificiose, ma semplicemente di raccontare la propria testimonianza. Perché le persone hanno bisogno di cose semplici, reali, concrete.