Una proposta “provocatoria” lanciata per il Natale da alcuni vescovi e da alcune Caritas, soprattutto di grandi città, e che potremmo ben accogliere anche noi, è quella di ospitare in casa, nel cuore della festa di famiglia, una persona povera o sola: potrebbe trattarsi di un profugo, di un richiedente asilo, di un migrante oppure di un giovane italiano in difficoltà o di un anziano solo. Un invito fatto lasciando da parte per un giorno i discorsi sui massimi sistemi migratori e concentrandosi, a Natale, solo sulle persone, con tutto il carico di vita che portano con sé e dentro di sé.
Un invito fatto pensando a quel “Non c’era posto per loro” di cui parla il Vangelo; un invito al dialogo per scoprire cosa significhi il Natale per i migranti cristiani o magari per persone di altre religioni. Un invito a pranzo che ha lo scopo di alzare il sipario su un mondo a noi italiani spesso sconosciuto e visto con gli stereotipi dipinti da media e social network.
Un’occasione per confrontarsi con la diversità e affrontare (e magari risolvere) i nostri dubbi e le nostre inquietudini; un gesto di fraternità semplice, ma molto concreto (e impegnativo!) e quindi meritevole. Ci vuole forse un po’ di coraggio, ma non è affatto difficile: basta lasciarsi guidare dal cuore. E chissà che questo gesto di accoglienza non ci faccia comprendere come, attraverso la solidarietà, la fraternità profonda e completa, è possibile “uscire dalla crisi”, cioè dalla rassegnazione, dal lamento su se stessi e dal considerare le difficoltà solo in termini economici.
E se qualcuno avesse bisogno di segnalazione di persone o di giovani nel disagio, ma sicuri e tranquilli, può rivolgersi al suo parroco per chiedere consiglio.
don Stefano Ghiringhelli
Parroco di Bedero-Masciago