Ha settant’anni, e forse qualche ruga, questa Costituzione della Repubblica italiana che i nostri padri ci hanno consegnato, quasi segno di rinascita dopo la dittatura del ventennio e la grande catastrofe della guerra perduta. Hanno disegnato una patria libera, democratica, solidale.
Idealmente ci hanno tracciato una diversa speranza, promesso un traguardo. Ne sentiamo ancora l’orgoglio, quando la chiamiamo “la più bella del mondo” per le parole che contiene e gli ideali che proclama, a guisa di bandiera. La sua prima parte, viva e giovane sempre, senza tempo, è ancora ciò che ci definisce, che sta come pilastro della nostra identità. Fu un grande lavoro, una fatica durata un anno e mezzo.
Se qualcuno ripesca in biblioteca i testi preparatori e i dibattiti d’aula, si accorge quale profondità di scavo raggiunsero i padri costituenti, su temi formidabili, per raggiungere il tesoro di saggezza portato alla luce e trascritto.
C’era un ispirazione di matrice libertaria, che metteva in campo i diritti individuali come infiorescenze multiformi della libertà (personale, di domicilio, di corrispondenza, di circolazione, di riunione, di associazione, di fede religiosa e di culto, di pensiero e di stampa, di difesa, e via via in modo espansivo a concretarsi nei diritti inviolabili come in un catalogo aperto). E c’era un’ispirazione di matrice sociale, attenta ai problemi del mondo del lavoro, all’eguaglianza in senso sostanziale e non solo formale, impegnata a rimontare le diseguaglianze come una sorta di rivoluzione promessa, in cui i diritti fossero non solo affermati, ma socialmente realizzati. E c’era un’ispirazione che possiamo dire di matrice cristiana, o per meglio dire cristianamente orientata, a rammentare il primato della persona umana, la sua dignità, il suo integrale sviluppo, nella singolarità di ogni uomo e nella dimensione sociale, (la famiglia in primis), dando alla legge il senso e lo scopo di promuovere diritti e doveri della persona secondo la stessa natura.
La seconda parte dell’opera fu dedicata a costruire l’edificio istituzionale del nuovo Stato. La divisione dei poteri (Parlamento, Governo, Magistratura) fu affidata a un complicato sistema di pesi e di contrappesi intrecciati, pagando dazio al risentimento verso la concentrazione autoritaria del precedente ripudiato regime. Col tempo, qualche fragilità s’è rivelata proprio in questo, con la cronica instabilità dei governi e la frequenza delle crisi.
Qualche crepa è emersa, segnalata dai giri viziosi di leggi rimpallate da una Camera all’altra, doppioni di un parlamento pletorico. Qualche squilibrio è derivato da incertezze e ambiguità normative e da lacune colmate o occupate da supplenze giudiziarie. La necessità di riforme ha prodotto una babele di dibattiti, mentre nel popolo si è generata disaffezione. Riforme? Quante volte sono state cominciate.
Una fatica di Sisifo, un lavoro immane fatto e disfatto, per la discordia del mondo politico e fors’anche per la riluttanza popolare. A tutt’oggi il nocciolo della novità che si è riusciti a inserire nel testo, a parte il “giusto processo” resta l’architettura delle autonomie locali (Comuni, Provincie, Città metropolitane, Regioni) all’insegna della sussidiarietà. Buona l’intenzione, ma dubbio il risultato, poiché qualche correttivo ancora parrebbe necessario all’equilibrio voluto. C’è ancora un cammino da fare senza paura, con sapienza prudente, tutti insieme come 70 anni fa.
Se la Costituzione è l’ossatura dello Stato, avvengano pure le giuste operazioni ortopediche, se le vecchie articolazioni hanno preso l’artrosi. Ma resti intatta la fedeltà ai principi fondativi (il primato della persona umana, lo Stato a servizio dell’uomo) che ne sono l’anima. Il corpo invecchia, l’anima no. Potrebbe essere una lettura di inizio d’anno, riprendere in mano il testo di 70 anni fa, e proiettarlo non solo sulla nostra situazione, ma su quella del mondo.
Capire quanta libertà abbiamo che a tanti è negata, quanti diritti nostri dipendono dalla risposta altrui, e quanti diritti altrui sono negati dai nostri silenzi; quante rivoluzioni restano sogni traditi, perché non si è solidali; quanta strada c’è ancora, avventura bellissima per la nuova generazione, per dare verità reale al disegno di un popolo libero capace di darsi giuste leggi perché capace di amare.
GIUSEPPE ANZANI