Dopo la Giornata della Memoria, che ricorre il 27 gennaio, c’è un’altra data importante scolpita nel calendario dei tempi, per non dimenticare fino a che punto si possa spingere la violenza dell’uomo. È quella del 10 febbraio: data scelta nel 2004 per istituire il “Giorno del Ricordo” “in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati”. Il riferimento è al 10 febbraio 1947, giorno della firma del Trattato di Parigi attraverso il quale, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Europa venne spartita tra vincitori e vinti.
Anche Como, che dalla fine della guerra ad oggi ha visto arrivare circa 800 giuliano-dalmati, si appresta a celebrare la sua Giornata con due eventi:
– giovedì 8 febbraio dalle ore 9.30 alle ore 12.30, presso il cinema Gloria, via Varesina, sono previste le testimonianze di Roberto Spazzali, Adria Bartolich, Lorenza Auguadra, Marinella Fasani, Giovanni Pedrinelli, Giuseppe Calzati, Luigi Perini. Coordinerà Carlo Brunati. Nel corso della mattinata verrà presentato il libro “… noi andavamo fora. I giuliano-dalmati nel territorio comasco” frutto della ricerca sugli esuli istriano – dalmati giunti nella provincia di Como dell’Istituto di Storia Contemporanea “P.A. Perretta” (a cura di Marinella Fasani). La mattinata sarà ad ingresso libero;
– sabato 10 febbraio, “Giorno del ricordo”, alle ore 9.30, presso i Giardini Martiri delle Foibe Istriane di Albate, in via Sant’Antonino, verrà deposta una corona; alle ore 11, presso la Biblioteca comunale di Como, piazzetta V. Lucati 1, dopo il saluto delle autorità e dell’Associazione Giuliano Dalmati di Como, interverranno gli studenti dell’I.T.I.S. “Magistri Cumacini” e dell’Istituto Professionale di Stato “Gaetano Pessina” con la proiezione di due filmati.
L’esilio e le persecuzioni degli istriani sono una delle tante pagine buie del Novecento. Vicenda sulla quale l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD) da sempre si batte per evitare cada l’oblio. Luigi Perini, presidente del Comitato comasco, fu uno di quegli esuli. La passione con cui, ancora oggi, ricorda quegli anni dà il senso della sofferenza vissuta. Il Settimanale lo ha intervistato. Vi presentiamo uno stralcio dell’intervista che comparirà sul numero di questa settimana.
Sig. Perini, sono tanti gli istriani-dalmati giunti a Como che hanno vissuto il dramma delle foibe?
«Negli anni ho avuto modo di ascoltare testimonianze drammatiche, anche se non tutti hanno piacere nel raccontare e condividere le proprie sofferenze. Ricordo tra queste il racconto di una famiglia che lasciò una località nei pressi di Fiume attraversando due ali di folla che li bastonava. Un altro che scoprì della morte di un parente perché un partigiano aveva il suo orologio. E potrei andare avanti all’infinito. Oggi a Como e Moltrasio vivono i parenti del maresciallo, medaglia d’oro, Aurelio Chiavelli fucilato e infoibato a Grobnico (Fiume) nel maggio del ’45 da partigiani jugoslavi; mentre a Cernobbio vive la figlia del finanziere Antonio Farinatti che, anziché darsi alla fuga nel settembre del 1943, restò vicino alla popolazione, fu preso e infoibato, unitamente al comandante della locale stazione dei Carabinieri di Parenzo. In pratica ciascuno di noi ha avuto un morto in famiglia, ma molti hanno preferito dimenticare il dolore e lasciarlo dietro le spalle. Solo i masochisti come me continuano a perpetrare la memoria di quel periodo, perché credo vi siano ricordi ed una cultura da preservare. Il nostro è un popolo che sta scomparendo. Pensi che in Istria, ormai, non si parla più italiano».
«La vera grande tragedia per noi è stata la pulizia etnica e le persecuzioni religiose. Tra i simboli di questo dramma – continua Perini – ci fu il sacerdote don Angelo Tarticchio, parroco di Villa di Rovigno, nonché assistente dell’AC, torturato orribilmente e successivamente infoibato nell’ottobre del 1943. A Como nel 2007 ho chiesto, come presidente dell’ANVGD, che il Comune intitolasse a questo sacerdote una piazzetta ad Albate. Così come il 4 novembre 2017 abbiamo inaugurato delle steli/targhe, sempre dedicate a don Angelo, anche a Binago ed a Cassina Rizzardi, e spero che a breve si possa concretizzate una cosa del genere anche a Blevio. Per me don Tarticchio è un martire della fede che aspetta solo di essere elevato agli onori degli altari, come e lo è stato per il beato Francesco Bonifacio di villa Gardossi. Il 17 febbraio inaugureremo, inoltre, una targa/cippo al maresciallo Aurelio Chiavelli».
Ha senso per lei, oggi, parlare di perdono?
«Lasciamo il perdono alle scelte dei singoli. Noi non abbiamo mai avuto risentimenti contro nessuno. Abbiamo dovuto prendere atto di questa tragedia che ci è capitata, e abbiamo pagato in prima persona per una guerra insulsa. Siamo stati dispersi ai quattro angoli della terra. L’Italia non ci ha mai amato ma noi siamo comunque siamo orgogliosi di essere Italiani».
Leggete l’intervista integrale sul Settimanale di questa settimana.