«In questi giorni nella nostra città sta montando l’ennesima polemica legata alle persone che vivono la condizione di senza fissa dimora e alla situazione di precarietà a cui sono soggette (…). Mi sembra allora doveroso aprire una riflessione seria sulla povertà e sull’emarginazione nella nostra città, ma per poterlo fare dobbiamo liberarci da alcuni pregiudizi”.
Inizia così la riflessione che il direttore della Caritas Roberto Bernasconi ha affidato al Settimanale della Diocesi (la trovate sul numero in uscita questa settimana).
“Soprattutto chi è impegnato in campo sociale e politico e ha idee e modalità diverse per affrontare queste povertà deve evitare di usare le persone che vivono la condizione di senza fissa dimora e di migranti come strumenti che ha a disposizione per portare avanti i propri progetti politici di governo del territorio. Il pericolo grosso che corriamo è quello di ledere la libertà di queste persone che diventano strumenti per attuare dei nostri progetti, sia di accoglienza che di rifiuto. Da come ci stiamo muovendo in questi mesi piuttosto che aiutare concretamente queste persone rischiamo di aumentare il loro disagio e li priviamo della loro capacità progettuale a loro indispensabile per inserirsi in modo attivo nella nostra società”.
“Cerchiamo allora di mettere un po’ di chiarezza – prosegue Bernasconi -, ma per poterlo fare è doveroso che tutti abbassino i toni della polemica; solo così possiamo vedere con occhi attenti, sentire con orecchie pronte ad ascoltare tutte le voci e agire poi usando cuore e cervello”.
Tre i punti principali su cui si concentra la riflessione del direttore della Caritas. A partire dall’idea di aprire la Stazione S. Giovanni nelle ore notturne ritenuta da Bernasconi “una richiesta improponibile, che forse avrebbe avuto senso vent’anni fa quando la nostra città, a parte il dormitorio Ozanam, era sprovvista di strutture di accoglienza. Oggi per fortuna non è più così”.
Un altro elemento di riflessione è quello del rapporto con le persone senza fissa dimora che abbiamo in città.
“Mi chiedo se non sia utile – prosegue Bernasconi – approfondire i casi di fragilità e di disagio mentale e trovare un interlocutore istituzionale credibile che supporti e tuteli i volontari nella loro azione di accompagnamento e che nel limite del possibile favorisca l’inserimento in strutture educative”.
Nella lunga lettera – che vi invitiamo a leggere nella sua forma integrale – non manca uno sguardo al futuro: “Noi siamo fiduciosi nel futuro – scrive Bernasconi -, ma sappiamo che tra un mese l’ “emergenza freddo” dovrà chiudere perché è “emergenza” appunto e quindi i luoghi che abbiamo a disposizione per accogliere non hanno i parametri che la burocrazia ci chiede. Che fine faranno le persone accolte? Che risposta troveranno per i loro bisogni primari? Si arriverà per esempio alla riapertura di servizi igienici pubblici da tempo promessa?”
Infine Bernasconi chiede che la città esprima un ringraziamento pubblico “ai volontari, singoli e associati, che settimanalmente mettono a disposizione tempo, energie, capacità e che sono fedeli nel loro servizio, permettendo così il buon funzionamento di tutta la struttura di accoglienza”.
L’intervento di Roberto Bernasconi è pubblicato su Il Settimanale in uscita con la data dell’8 marzo. Disponibile anche nella versione on-line.