Con la domenica dell’Ascensione si compiono i quaranta giorni dopo la Pasqua, che, mediante la presenza nuova e misteriosa di Gesù e le prove, numerose, ma tutt’altro che razionali, della sua Risurrezione sono stati quasi una palestra per la fede dei discepoli, indispensabile per vivere pienamente il tempo della Chiesa. I biblisti concordano nel considerare un’aggiunta posteriore la conclusione del Vangelo di Marco, di cui oggi leggiamo i versetti finali; credo – comunque – che sia in linea con lo scopo che lo stesso evangelista si propone, cioè la risposta alla duplice domanda sull’identità di Gesù e sull’identità del discepolo. «Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio» (Mc 16, 19): davvero Egli è il Cristo, il Figlio di Dio; l’Ascensione è la festa del suo ritorno presso il Padre. Ciò non vuol dire, però, che Gesù abbandona i suoi che rimangono sulla terra: la dimensione del “cielo”, dove Dio siede, è quella della Chiesa gloriosa verso la quale noi tutti siamo in cammino come pellegrini. Cielo e terra, poi, sono ormai uniti attraverso il Corpo Risorto di Gesù, reale e visibile nell’Eucarestia. «Allora essi partirono e predicarono dappertutto» (Mc 16, 20a): la condivisione del ministero pubblico con Gesù e l’allenamento nella fede, vissuto nei quaranta giorni di Cenacolo, conferma i discepoli come testimoni di Lui fino ai confini del mondo. L’Ascensione, in questo senso, si configura anche come festa missionaria a tutto campo, stimolando, nella fedeltà ai segni dei tempi, all’utilizzo di tutte le risorse e i mezzi di comunicazione disponibili, affinché il lieto annuncio del Vangelo raggiunga tutti gli uomini. Che sia, dunque, questa Buona Novella sempre al centro dei progetti e in cima alle attenzioni di ogni cristiano-missionario, per consentire ancora a Gesù, risorto e asceso al cielo, di agire insieme con ciascuno e di confermare con segni ogni parola, scritta o pronunciata.

don MICHELE PAROLINI