Sogni, progetti, prospettive e l’impegno di accompagnare la Famiglia Comasca a varcare il traguardo dei 50 anni di attività. Non è una responsabilità da poco quella che da qualche settimana si è assunto Adriano Giudici nuovo presidente del sodalizio, già funzionario del Banco Lariano, poi San Paolo, nonché vice presidente della Famiglia Comasca da parecchi anni e autore di svariate pubblicazioni.
«Mi sono accostato all’associazione nel 1980 – racconta al Settimanale il neo presidente -, avevo trent’anni, ero poco più che un ragazzino, quasi “precettato” dall’allora mio direttore Piercesare Bordoli. Iniziai limitandomi alla frequentazione della tradizionale serate prenatalizia, momento clou dell’anno in cui venivano e vengono rinnovate le quote sociali. Poi con il trascorrere del tempo, venuti progressivamente meno anche gli impegni di lavoro, la mia presenza è diventata più costante. Dieci anni fa ho assunto l’incarico di Revisore dei Conti, in seguito sono entrato in Consiglio e quattro anni fa sono diventato uno dei due vice presidenti».
Quanto è stato importante Piercesare Bordoli per “La Famiglia Comasca”?
«Moltissimo, in termini assoluti. Bordoli era la Famiglia Comasca, vi trascorreva la maggior parte del suo tempo. Una presenza quotidiana e attenta durata 27 anni. Non è stato facile ripartire dopo di lui. Ad Alberto Longatti dobbiamo dire grazie perché ha saputo prendere in mano l’associazione, alla tenera età di 84 anni, in un momento per tutti di grande difficoltà».
L’eco delle campagne di Bordoli ancora risuona in città. Su tutti quella per salvare il Patria…
«Il rilancio del Patria è un tema che dovremo tornare ad affrontare, ma non so ancora come. Le oltre ventimila firme raccolte, che hanno contribuito al suo recupero, sono un ulteriore monito per non lasciar andare alla deriva questo gioiello. Ripeto: ancora non ci sono idee sul tavolo, ci confronteremo e le valuteremo, ma mi piacerebbe portare in dote il rilancio del Patria, con la definizione di un suo impiego promozionale costante e non solo estemporaneo, per il 50esimo dell’associazione, o almeno entro triennio del mio mandato da presidente».
Proprio rispetto al 50esimo avete in animo qualche progetto concreto?
«L’unica cosa certa è che desideriamo festeggiare bene questo traguardo. Uno dei “sogni”, anche questo tutto da valutare nella sua fattibilità, è la replica de “I Promessi sposi” del Collina, in dialetto, con la stessa compagnia teatrale di Vighizzolo che lo mise in scena dodici anni fa».
Perché oggi ha ancora senso l’impegno della Famiglia Comasca?
«Perché ci sono tradizioni che vanno mantenute. Noi possiamo offrire l’opportunità a chi arriva di inserirsi meglio dentro questo nostro territorio, appropriandosi della sua storia, della cultura, dell’arte. La mia sensazione è che, per chi non ne vive a pieno le attività, la Famiglia Comasca, vista dall’esterno, possa apparire come un gruppo di combattenti e reduci, che si trovano ogni tanto rievocando i bei tempi. Certamente siamo anche questo, ma non solo. Ne fanno fede le tante iniziative realizzate nel corso degli anni, il positivo rapporto instauratosi con il Giappone e con altre località “gemelle”, la stima e il riconoscimento di cui l’associazione gode a livello locale e non. Questo per dire che la nostra non è una realtà solo del bel tempo che fu, ma anche molto legata all’attualità. Il mio sogno è che vi si accosti anche qualche 60enne che, ormai fatta carriera, con i figli già grandi e magari un po’ di tempo libero in più, si accorga della nostra presenza. Guardando all’ieri, all’oggi e anche al domani mi permetta un plauso alla vice presidente Rita de Maria, vera memoria storica dell’associazione, per anni colonna dei presidenti Bordoli e Longatti e che, ne sono certo e auspico, possa esserlo anche per me».