Il 9 luglio il Sud Sudan ha ricordato il settimo anniversario della sua indipendenza. Ma le celebrazioni ufficiali anche quest’anno sono state cancellate. Pesa la  crisi economica, con il governo che non ha fondi neanche per pagare gli stipendi, così come il clima di guerra e instabilità che dura ormai dal dicembre 2013. Qualcosa potrebbe cambiare nei prossimi mesi dopo l’accordo di pace siglato a Karthoum ma è ancora presto per dirlo. Il racconto di suor Elena Balatti missionaria comboniana originaria di Samolaco San Pietro (So).

“Quando gli elefanti combattono è l’erba che soffre”, afferma un proverbio africano. Lo scorso 27 giugno Salva Kiir, Presidente del Sud Sudan, e il suo rivale, l’ex-vice Presidente Riek Machar, hanno firmato un altro accordo di pace dopo il fallimento del precedente, dell’agosto 2015. I loro due nomi sono inscindibilmente associati alla devastante guerra civile scoppiata in Sud Sudan alla fine del 2013. La loro lotta al vertice per il potere e il controllo del Paese ha causato sofferenze inaudite a una popolazione che era appena uscita dai 50 anni di guerra che portarono all’indipendenza del Sud dal Nord nel 2011.

La foto della firma di mercoledì scorso, già nota come l’ “Accordo di Khartoum”, é per il pubblico sud sudanese un déjà vu, una scena per niente nuova che ricorda analoghi flash dei fotografi per l’accordo di pace 2015 che non venne mai rispettato e crollò definitivamente un anno dopo durante un sanguinoso combattimento al palazzo presidenziale fra le guardie di Salva Kiir e quelle di Riek Machar. Dunque niente illusioni fra la maggior parte della gente, però nessuno vuole chiudere la porta alla speranza che questa sia la ‘volta buona’.

La ragione del poco ottimismo é dovuta alla consapevolezza che raggiungere la firma di un documento é relativamente facile, benché in questo caso ci siano voluti sforzi diplomatici notevoli da parte dei Paesi dell’Africa Orientale, dell’Unione Africana, le Nazioni Unite, l’Unione Europea, gli Stati Uniti, la Cina e altri. Foto con altre strette di mano al vertice hanno fatto notizia quest’anno: nel vicino Kenya il Presidente Uhuru Kenyatta e il capo dell’opposizione Rayla Odinga sono riusciti a incontrarsi e evitare una guerra civile e le foto di Donald Trump e Kim Jong Hu insieme fanno già parte della storia.

Nel caso di Riek Machar e Salva Kiir la stretta di mano non é stata molto calorosa e la foto li ritrae separati dal presidente del Sudan, Omar al-Bashir, e da quello dell’Uganda, Yoweri Museveni. Che l’accordo sia stato raggiunto a Khartoum, capitale del Sudan da cui il Sud si é recentemente separato, non manca di suscitare sospetti fra molti sud sudanesi. Ho chiesto a una signora che conosco se Omar al-Bashir, il mediatore principale in questa fase, possa portare la pace al Sud Sudan e la sua risposta é stata un diniego quasi immediato. Che l’accordo preveda una stretta collaborazione con il Sudan per riattivare i pozzi di petrolio danneggiati dalla guerra é perlomeno indice di forti interessi economici.

La questione del petrolio del Sud é molto complessa e i limiti di questo scritto non permettono di parlarne oltre, ma é intuitivo quanto sia strategico controllare questa fonte di energia.
È importante evidenziare quanto il Consiglio Ecumenico delle Chiese, di cui la Chiesa Cattolica é membro in Sud Sudan, si sia adoperato per mediare fra le parti durante questo conflitto e particolarmente negli ultimi mesi. A loro va il credito di aver disteso l’atmosfera fra i delegati dei vari partiti interessati che, oltre a quello del Presidente e dell’Opposizione armata di Riek Machar (IO), annovera ormai un folto gruppo di altri politici e capi militari.

Le Chiese hanno insistentemente sottolineato di essere i portavoce della maggior parte dei cittadini, di una popolazione stremata dalla crisi economica che conta più di due milioni di rifugiati nei Paesi limitrofi, che ha visto ridursi i già pochi servizi nel campo dell’educazione e della sanità e che in gran parte é ridotta alla sopravvivenza.


Sto scrivendo da Pibor, grosso villaggio capoluogo dello Stato di Boma nel Sud-Est del Paese. L’unica scuola secondaria esistente non é più operativa in quanto gli insegnanti sono fuggiti a causa dell’insicurezza; grazie a Dio i Medici Senza Frontiere e la Croce Rossa Internazionale sono presenti per assicurare qualche prestazione essenziale. La gente non costruisce capanne solide e durature ma ripari provvisori perché non sono sicuri di un futuro tranquillo; etc. Questa é l’ “erba” che soffre quando i pesanti elefanti lottano fra loro dimenticandosi di coloro che rimangono schiacciati. Ora si spera finalmente in un po’ di pace. È impossibile pensare a una stabilizzazione rapida su tutto il territorio, ma qualche passo nella giusta direzione va a mio parere apprezzato. La pace é una situazione di valore inestimabile, segno della presenza del Regno di Dio, ed é meglio essere ottimisti e pensare che anche i leaders politici e militari la stiano ricercando.

Sr. Elena Balatti
Missionarie Comboniane