“Pechino ha aperto le porte”. L’accordo firmato con la Santa Sede è una “concessione che gli imperatori ai tempi dei gesuiti non avevano fatto”. Francesco Sisci è uno dei maggiori sinologi, autori ed esperti di Cina. Attualmente è professore all’Università del popolo della Cina. In questi giorni è difficile parlare con lui, travolto dalle notizie che arrivano dalla Cina e dalle richieste d’interviste e commenti. D’altronde è uno dei massimi esperti della storia dei rapporti tra Santa Sede e Cina. Nel 2016, Papa Francesco gli rilascia un’intervista, proprio sulla Cina, che uscì sul quotidiano on-line di Hong Kong, “Asia Times”. “Per me la Cina – disse il Papa in quella occasione – è sempre stata un punto di riferimento di grandezza. Un grande Paese. Ma più che un Paese, una grande cultura con una saggezza inesauribile”.

L’accordo “provvisorio” firmato a Pechino nel corso di un incontro tra monsignor Antoine Camilleri, sottosegretario per i rapporti della Santa Sede con gli Stati, e Wang Chao, viceministro degli Affari Esteri della Repubblica Popolare Cinese, punta dritto su una questione che da moltissimo tempo era al centro di faticose e sofferte trattative: la nomina dei vescovi, nel difficile rapporto tra Chiesa “ufficiale” e Chiesa “clandestina”. L’obiettivo della Santa Sede è chiaro: “Sostenere l’annuncio del Vangelo in Cina”. Francesco decide di riammettere nella piena comunione ecclesiale i rimanenti vescovi “ufficiali” ordinati senza mandato pontificio. Nella lista c’è anche un vescovo deceduto il 4 gennaio 2017, che prima di morire aveva espresso il desiderio di essere riconciliato con la Sede Apostolica.

È un annuncio storico. Un accordo che fino a pochi anni fa sembrava impossibile ma che oggi è diventato realtà grazie – così recita il bollettino della sala stampa vaticana – ad “un graduale e reciproco avvicinamento” tra le due parti. È il frutto di una storia lunga avviata nel 2007 da Benedetto XVI che preoccupato per la sorte dei cattolici cinesi inviò loro una “Lettera” esortando la piena comunione e il superamento attraverso “perdono e riconciliazione” delle divisioni. Con l’elezione di Papa Francesco, gesuita come Matteo Ricci e la mediazione del cardinale Pietro Parolin, i contatti si riattivano in maniera vivace e inaspettata. La Cina diventa per Francesco una priorità del suo Pontificato, spinto unicamente dal suo amore per i cattolici cinesi. È il Papa stesso a spiegare a Francesco Sisci come intende il processo di dialogo con la Cina: “Il dialogo non significa che finiamo con un compromesso, metà della torta per te e l’altra metà per me. Questo è quello che è accaduto a Yalta e abbiamo visto i risultati. No, il dialogo vuol dire: guarda, siamo arrivati a questo punto, posso o non posso essere d’accordo, ma camminiamo insieme; questo è quello che vuol dire costruire. E la torta rimane intera, se si cammina insieme”.

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https://agensir.it/mondo/2018/09/24/santa-sede-cina-francesco-sisci-sinologo-pechino-ha-ammesso-lambito-religioso-del-papa-in-cina/