Questa notte è scomparso Renzo Pigni, classe 1925 deputato comasco per un ventennio (dal 1953 alle politiche del 1972) prima nelle fila del Partito socialista italiano e poi nel Psiup (Partito socialista italiano di unità proletaria) di cui fu tra i fondatori. Consigliere comunale a Como dal 1951 al 1994 fu eletto sindaco di Como il 30 ottobre 1992, primo sindaco di sinistra nella storia del capoluogo lariano.

Saldo nell’idea di una politica al servizio della gente si dimise nel 1993 in relazione a contrasti maturati in seno alla maggioranza su temi legati all’edilizia e al Piano urbanistico.

Il Settimanale lo incontrò nell’ottobre del 2015, in occasione del suo novantesimo compleanno. Affidiamo il ricordo alle sue stesse parole, pubblicando alcuni stralci dell’intervista.

Onorevole, lei è stato per vent’anni in Parlamento. Cosa ricorda con maggior piacere di quegli anni?

«Il ricordo che conservo con maggiore soddisfazione è di essere stato segretario di Sandro Pertini quando era presidente della Camera dei Deputati».

Lei ha dedicato alla politica una grossa fetta della sua vita. Nel ripercorrere i suoi primi passi rammenta qualche episodio che la indirizzò verso quella strada?

«Durante la guerra nel 1944 venni destinato a Sommacampagna, un paese in provincia di Verona, per essere aggregato, insieme a degli altri italiani, ad una compagnia tedesca addetta al servizio di contraerea. Il nostro compito era di mantenere in perfetta efficienza baracche e ricoveri degli alleati tedeschi. Nei nostri confronti i tedeschi non nutrivano alcuna considerazione. Eravamo considerati bassa manovalanza. Da lì l’idea della fuga divenne un argomento di discussione costante che accompagnava le poche ore di riposo di cui disponevamo. Alcuni dei miei amici si mostrarono in questo decisi e convinti, nonostante io li avessi invitati più volte alla prudenza. Determinati nel loro intento preferirono ugualmente sfidare la sorte. Ma vennero catturati e fucilati. Esecuzione cui fummo costretti ad assistere. La memoria di quel sacrificio ha poi guidato la scelta del mio impegno pubblico negli anni a seguire».

Con la fine della guerra arriva anche l’impegno politico e la prima tessera di partito. Nella primavera del 1951 i socialisti si preparano alle elezioni per il rinnovo del Consiglio comunale di Como e chiedono a Pigni di candidarsi. Il giovane Renzo, 26 anni, entrerà così ufficialmente a far parte del Consiglio dopo il 27 maggio e vi resterà ininterrottamente fino al 1994.

Nel ’53, alla vigilia delle elezioni politiche gli viene proposta la Candidatura alla Camera dei deputati. E così, a soli 27 anni Renzo Pigni entra in Parlamento, dopo la tornata elettorale del 26 maggio, per restarvi fino alle elezioni politiche del 1972. Un’avventura densa fatta di volti, progetti, idee.

Con l’avanzare del tempo, e qualche acciacco fisico, Pigni ritrova negli anni anche una fede in realtà mai sopita. Con il vescovo di Como Alessandro Maggiolini si instaura un profondo legame, frutto di stima e amicizia reciproca. E nel 1995 arriva anche l’esperienza del pellegrinaggio in Terra Santa e dell’incontro con Michel Sabbah, patriarca della Chiesa latina di Gerusalemme. È l’inizio di un nuovo cammino che porterà, di lì a poco, alla nascita dell’associazione “Amici del seminario di Beit-Jala” che sorge alla periferia di Betlemme.

Renzo Pigni in un’immagine del 1996 con padre William Shomali, allora rettore del Seminario Beit Jala

Nel parlare di Beit-Jala il ricordo di Renzo Pigni corre subito a Mario Bianchi, instancabile amico della Terra Santa. «Fu lui – rammenta Pigni – a spingermi a fondare l’associazione che in questi anni ci ha permesso di sostenere il seminario di Beit-Jala e quello del Patriarcato latino di Gerusalemme attraverso svariate raccolte fondi».

Onorevole lei è stato parlamentare e sindaco. La politica di allora come si distingue da quella di oggi?

«Allora vivevamo un rapporto molto aperto e schietto tra opposizione e maggioranza, condizionato con forza dal sentirci tutti al servizio della città e del Paese. Se penso agli anni trascorsi in Parlamento rammento come fossimo permeati dalla responsabilità della Resistenza e dai valori che ne derivavano. Eravamo animati da grande passione, non ci si esimeva da scontri ideologici e politici, anche duri, ma che mai sfociavano in attacchi personali. Avevamo un alto senso delle istituzioni. E, certo, non godevamo dei privilegi di cui godono i parlamentari di oggi. Tornando a livello locale anche durante gli anni da sindaco ho sempre cercato di agire nel pieno rispetto di chiunque operava dentro il Palazzo, valorizzando e coinvolgendo lo stesso personale dipendente, senza mai assumere atteggiamenti di ostentazione e superiorità».

La cerimonia funebre sarà celebrata sabato 26 gennaio in S. Orsola.