“Ho scoperto il paradiso perduto… C’è un tratto in cui il sentiero attraversa un piccolo gruppo di baite. Si chiama Stoppadura. Dopo poche decine di metri si incontra un tronco girevole che funziona d’ingresso nella piana di Bresciadega. Si cammina nel bosco mentre da lontano compaiono le cime rocciose innevate con il torrente che scroscia impetuoso tra le rocce. Io, lì, sento vicino il Paradiso”.
Così Gaetano Fracassi descriveva la Val Codera, valle secondaria della Valchiavenna, che scoprì nel 1935. Una valle che ancora oggi è raggiungibile solo a piedi, perché non esistono strade asfaltate. Gaetano era un’Aquila Randagia, faceva parte con altri ragazzi del gruppo scout di Milano e Monza che continuarono a svolgere attività in clandestinità, anche dopo che il 9 aprile 1928 lo scoutismo venne soppresso dalle leggi fasciste. È lui che fece conoscere alle altre Aquile Randagie quello scrigno di bellezza. E quel piccolo paradiso, in provincia di Sondrio, divenne il luogo in cui le Aquile Randagie continuano a ritrovarsi per le attività clandestine, i campi estivi, i fuochi serali. A guidarli sono don Andrea Ghetti, del gruppo Milano 11, detto Baden, e Giulio Cesare Uccellini, capo del Milano 2, che prende il nome di Kelly.
La storia delle Aquile Randagie rivive oggi nel film del regista-capo scout Gianni Aureli. In anteprima mondiale, viene presentato come evento speciale alla 49° edizione del Giffoni Film Festival, lunedì 22 luglio alle ore 19. Vi proponiamo uno stralcio dell’intervista che Gianni ha rilasciato al Settimanale, pubblicata sul numero 29.
Gianni, da dove nasce l’idea di questo film?
«Parecchi anni fa. Precisamente nel 2011. Come Agesci Lazio avevamo realizzato un campo regionale per esploratori e guide. Era l’anno del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. La prima sera dei ragazzi del noviziato presentarono uno spettacolo raccontando una storia che partiva dai garibaldini e arrivava agli scout di oggi, passando per le Aquile Randagie. Così, a mente fredda, un mese dopo, mentre ero in vacanza in Sardegna, mi è venuta questa idea. Del resto la storia delle Aquile Randagie è talmente vera, bella e avvincente… Però, mettendo un piede fuori dall’associazione, pochi la conoscono. Ed anche al nostro interno… certo si sa che furono gli scout che si opposero al fascismo, ma poco più. Io stesso mi sono dovuto documentare parecchio. Da qui l’idea di realizzare un film che racconti agli scout, ma soprattutto a chi non ha il fazzolettone al collo, che cosa hanno fatto questi ragazzi».
Dove è stato girato, materialmente, il film?
«Le riprese sono sostanzialmente state effettuate in quattro location diverse: le scene di montagna, ambientate in Val Codera, sono state girate proprio in valle e dintorni, più precisamente lungo la scalinata, il sentiero, al rifugio Brasca e alla Casera. Le altre scene di montagna, per un discorso di accessibilità e di realizzabilità del progetto, sono state girate in Valtellina, dalle parti di passo San Marco. Noi dormivamo a Novate Mezzola. Abbiamo quindi girato tre giorni a Milano. Poi le riprese cittadine della Milano anni ’30 le abbiamo effettuate a Pavia, per questioni sia economiche, che organizzative e riproduttive. Essendo un film a basso budget e dovendo stare attenti al centesimo, piuttosto che ricreare una Milano anni ’30 in studio, e modificare la Milano vera bloccando macchine e chiedere permessi, Pavia ci ha accolto. Ci ha fornito degli scenari ottimi. Si tenga anche conto che Pavia è pur sempre tra le città medaglia d’argento per la resistenza».
Si tratta di un documentario o di una fiction?
«È senz’altro un film. Su questo la mia idea era ben precisa sin dall’inizio. Una fiction scritta con i canoni di una storia cinematografica, accurata all’85%, che però presenta anche delle licenze poetiche…»
È una fiction, ma alla fine c’è un messaggio che il film vuole lanciare?
«Questi ragazzi, sia storicamente che nel film, decidono di opporsi al regime, da subito. E lo fanno non tanto per spocchia, supponenza, ma per mantenere la promessa scout e vivere secondo gli ideali scout, fedeli ad un’educazione diversa da quella fascista. Nel film quello su cui abbiamo deciso di mettere di più l’accento è che gli scout agiscono in quel modo perché hanno promesso di aiutare il prossimo in ogni circostanza, fedeli all’idea che l’altro che hai davanti è sempre un essere umano e va aiutato, ovviamente nei limiti del possibile».