«Nel caso stessi ancora pensando di fare un piccolo articolo sulla mia esperienza a Gibuti credo sia il momento perfetto per pubblicizzare questa bella opportunità per molti giovani!»
Nonostante le difficoltà non siano mancate nei suoi primi otto mesi trascorsi in Africa, Eleonora Ioli, la giovane originaria di Parè che sta vivendo l’esperienza del servizio civile all’estero con i caschi bianchi di Caritas italiana, ha deciso di mettere mano alla tastiera del suo computer per sensibilizzare altri giovani, tra i 18 e i 28 anni, a partecipare a questa bella esperienza.
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Ci scrive a pochi giorni dalla chiusura delle candidature per le partenze del 2020 nella speranza che qualche altro giovane della nostra diocesi possa cogliere l’opportunità di vivere un’esperienza di servizio in Italia o all’estero partecipando all’esperienza del servizio civile. Eleonora da febbraio è a Gibuti, piccolo stato del Corno d’Africa, dove collabora alle attività della Caritas locale impegnata in prima linea nel sostegno ai bambini di strada: si tratta per lo più di minori stranieri non accompagnati che si trovano a vivere nel Paese senza alcun tipo di diritto: a partire da istruzione e sanità che sono negati a chiunque – minori compresi – non abbia un regolare documento.
«A volte – precisa Eleonora – si trovano in questa condizione anche gibutini che non hanno i soldi per poter seguire le procedure burocratiche e dunque si trovano a vivere come dei sans papier».
L’attività di servizio civile, condivisa con un’altra giovane originaria di Genova, si divide tra due attività principali: la prima è l’insegnamento della lingua inglese al “Lec” (acronimo di “leggere, scrivere e contare” in lingua francese) un centro di istruzione informale, aperto dalla missione cattolica a Gibuti, a cui accedono ogni giorno circa 250 minori che, non avendo i documenti, non possono frequentare le scuole pubbliche. La Chiesa gibutina, il cui vescovo è mons. Giorgio Bertin – che è anche amministratore apostolico di Mogadiscio – ha quattro centri di questi tipo sparsi nel Paese.
Il secondo luogo in cui svolge servizio Eleonora, quando non insegna al Lec, è il centro diurno aperto dalla Caritas locale per dare un sostegno ai minori soli, per lo più migranti provenienti dall’Oromia, popolosa regione etiope, ma anche yemeniti, somali e qualche eritreo. «Arrivano a Gibuti nella speranza di poter guadagnare qualche soldo lustrando scarpe o raccogliendo plastica – racconta la giovane -. C’è chi è qui di passaggio, nella speranza di raggiungere lo Yemen e, da lì, Arabia Saudita o Qatar, e chi spera di racimolare un po’ di soldi per poi tornare a casa. Capita che sono le stesse famiglie a spingerli a partire così da avere una bocca in meno da sfamare».
Al centro diurno i ragazzi, circa un centinaio, arrivano la mattina attorno alle 9, dopo aver passato la notte dormendo sulla spiaggia o in alcuni spazi aperti, non lontani dal centro. Qui hanno la possibilità di lavarsi e fare colazione. Successivamente, vengono organizzati per loro alcuni atelier di alfabetizzazione o di piccoli mestieri.
«Cerchiamo, dove è possibile, di prestare loro ascolto, di conoscere le loro storie e di prenderci cura di loro, anche con l’aiuto di altre organizzazioni per valutare la possibilità di un loro ritorno in famiglia», spiega Eleonora.
Quella di Gibuti è una realtà controversa perché alla grave povertà che vivono questi bambini e ragazzi si contrappone un’economia che si regge quasi interamente sulla presenza di basi militari straniere e sull’indotto generato dalla presenza di soldati: bar, ristoranti, alberghi e, purtroppo, anche tanta prostituzione.
Italia, Francia, Stati Uniti, Cina, Giappone sono presenti nel Paese con una loro base, mentre spagnoli e tedeschi non hanno una base vera e propria ma vivono in due alberghi.
«Il governo – racconta Eleonora – sta cercando di diversificare l’economia puntando sul turismo e c’è addirittura chi parla di Gibuti come di una nuova Dubai, ma credo sia presto per dirlo anche se effettivamente si vedono in giro investimenti e nuove costruzioni».