“Gentile Presidente del Consiglio Conte, desideriamo porre alla Sua attenzione il problema degli oltre 75 mila frontalieri italiani attivi in Svizzera, allarmati per le conseguenze dell’emergenza generata dalla diffusione del Covid-19 nella zona di confine – inizia così la lettera inviata oggi da Mirko Dolzadelli, consigliere del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE), responsabile per i Frontalieri e Michele Schiavone, segretario generale CGIE, al presidente del Consiglio. – Il transito transfrontaliero sta generando infatti situazioni inconciliabili e incongrue con l’azione che il Governo italiano sta, in queste ore, promuovendo per limitare la pandemia. Si prenda il caso specifico del Canton Ticino, dove opera la maggior parte della manodopera transfrontaliera italiana, la cui popolazione residente è un terzo di quella delle province di Como e Varese sommate insieme. Nonostante questo i casi di Covid-19 registrati in Ticino sono superiori a quelli riscontrati nelle citate province di confine. Si aggiunga che in Italia gli accertamenti sanitari sono diffusi su tutto il territorio, e nello specifico il tampone viene fatto anche ai soggetti asintomatici, che hanno avuto contatti con malati, cosa che non accade ancora in Svizzera (pertanto lì i casi di contagio dichiarati sono certamente inferiori al numero reale). Eppure il Consiglio di Stato ticinese ha deciso di ignorare questo scenario e ha adottato misure di contenimento molto leggere e per questo insufficienti: le scuole dell’obbligo rimangono aperte, le attività produttive e lavorative in genere continuano come se niente fosse, i negozi e i centri commerciali sono tutti aperti. Sui cantieri e nelle industrie non vengono prese misure igieniche particolari”.

 Ponte Tresa, 13 Aprile 2004
Nella Foto la dogana di Ponte Tresa
Photo By Nicola Demaldi

“Non solo – prosegue la nota – Molti frontalieri sono stati costretti dai propri datori di lavoro a soggiornare in Svizzera presso alberghi (con la creazione di ulteriori luoghi di aggregazione) o in alloggi improvvisati. Riferiamo il caso di un’impresa edile che ha costipato i propri lavoratori in brandine arrangiate dentro le baracche normalmente adibite alla pausa pranzo. La ragione di ciò è dovuta al fatto che, i tempi per accedere in Svizzera si sono dilatati esponenzialmente visto il controllo capillare dei permessi di lavoro che vengono effettuati dalle guardie di confine. I frontalieri sono quindi tra l’incudine e il martello. Da una parte non possono assentarsi dal lavoro, pena il licenziamento per assenza ingiustificata, dall’altra continuando il lavoro, si espongono al rischio del contagio con la conseguenza che porterebbero poi ad un’ulteriore diffusione del virus nei territori della Lombardia e del Piemonte, i cui sistemi sanitari sono già allo stremo. Tutto questo, nel momento in cui il nostro Paese sta profondendo il massimo sforzo per riuscire a vincere la battaglia contro il Virus”.

“Siamo, quindi, a richiederLe azioni politiche urgenti affinché siano attivati i canali diplomatici necessari per richiedere alla Confederazione Svizzera e a tutti gli Stati confinanti con l’Italia, misure radicali e stringenti, in coerenza con quelle adottate dal nostro Paese e da ultimo apprezzate e rilanciate dalla Presidente della Commissione dell’Unione Europea, Ursula Von der Leyen“.

Sulla gravità della situazione e lo stato di incertezza per la categoria erano intervenuti, con una nota, lo scorso 11 marzo, i coordinatori nazionali dei Frontalieri di CGIL CISL UIL: Giuseppe Augurusa, Luca Caretti e Pancrazio Raimondo. “…la scelta della confederazione Elvetica di non porre alcun provvedimento restrittivo del flusso degli oltre 75.000 frontalieri si legge nella nota – risponde anche ad una precisa esigenza di salvaguardia del sistema sanitario elvetico, retto sul lavoro dei nostri connazionali, oltreché sul sistema d’impresa. A tal proposito le scriventi OO.SS. auspicano che i Governi di Bellinzona, Coira e Sion, intervengano anche attraverso provvedimenti volti ad incentivare l’uso del telelavoro, riducendo per questa via tanto i rischi connessi alla mobilità quanto gli impieghi arbitrari di formule organizzative incerte in un contesto a basse tutele del lavoro. Le organizzazioni confederali dei frontalieri sottolineano inoltre come la particolare condizione di interconnessione tra Italia e Svizzera può altresì rappresentare un’occasione di riflessione per un approccio solidaristico tra le aree confinanti, nello specifico di Ticino e Lombardia e Piemonte, di fronte alle grandi difficoltà che il sistema sanitario delle regioni subalpine si troverà inevitabilmente ad affrontare di fronte al rischio pandemia”.