Centinaia di persone hanno voluto partecipare al rito funebre di don Stefano Bianchi, tornato alla Casa del Padre improvvisamente, lo scorso venerdì 22 maggio, a causa di un malore. Sulla piazza antistante la chiesa parrocchiale di Santa Maria Nascente, a Livigno, sono state occupate tutte le sedie posizionate secondo le distanze previste dalle norme anti-covid. Altre centinaia di fedeli hanno assistito alla celebrazione in diretta televisiva o in streaming per affidare alla misericordia del Signore l’anima del suo servo don Stefano. Il rito è stato presieduto dal vescovo, monsignor Oscar Cantoni, e con lui hanno concelebrato il parroco di Livigno, monsignor Giuseppe Longhini, il vicario episcopale per la provincia di Sondrio, don Andrea Salandi, il vicario foraneo di Bormio, don Alessandro Alberti, e altri numeri sacerdoti.
«Siamo qui raccolti – ha affermato monsignor Longhini all’inizio della celebrazione – per salutare don Stefano e accompagnarlo nella sua ascensione al Cielo e nel suo ritorno al Padre. E vogliamo ricordare anche quelle persone che ci hanno lasciato in questo periodo di emergenza e alle quali non abbiamo potuto dare un estremo saluto con una celebrazione comunitaria». Quindi, il Parroco ha elencato i defunti della comunità negli ultimi mesi, menzionando tra gli altri il missionario padre Firmino Cusini, don Renato Lanzetti, già vicario parrocchiale dal 1976 al 1989, e il sagrista di San Rocco, Pietro Zini.
Dopo aver salutato il padre di don Stefano, Battista, la mamma Linda e il fratello Bruno, il vescovo Oscar ha affermato che, con la morte del sacerdote, «ci è stato tolto, anzi strappato, qualcosa di noi stessi. Restiamo attoniti e versiamo lacrime di amarezza e di sofferenza. Ma come credenti nel Dio di Gesù Cristo – ha aggiunto monsignor Cantoni – ci è chiesto di ampliare gli spazi del nostro orizzonte per entrare ancora di più nel suo mistero. Perché, attraverso la morte e risurrezione del suo Figlio, Dio ha trasformato la morte in un’aurora di vita. E se ci rattrista una morte così improvvisa quale è stata quella di don Stefano, ci consola la certezza della vita eterna».
Nelle parole del vescovo Oscar non è mancato un ringraziamento ai livignaschi, che «hanno accolto e sostenuto don Stefano anche nelle sue debolezze e fatiche». Poi ha sottolineato che, davanti alla morte, «non basta la nostra consolazione umana. Ne occorre una più incisiva, feconda e durevole, quella che è frutto della Parola di Dio». E ha quindi ripreso le parole offerte dalla prima lettura di questo martedì della VI settimana di Pasqua: “Ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e le prove che mi hanno procurato le insidie dei Giudei; non mi sono mai tirato indietro da ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi” (At 20,19-20).
Monsignor Cantoni ha anche riferito di aver «ascoltato con viva commozione l’ultimo insegnamento di don Stefano registrato alcuni giorni fa, commentando la prima lettura di domenica scorsa. Una predicazione lucida e semplice, perché tutti ne comprendessero il senso».
Al termine del della celebrazione, dopo il rito dell’ultima raccomandazione, sono seguiti diversi interventi di saluto a don Stefano. Primo fra tutti quello di don Mauro Donatini, suo compagno di ordinazione: «La voglia di missione, di carità e di annuncio ti hanno consumato», ha affermato rivolgendosi al confratello defunto e ricordandone «la fede umile, l’ottima preparazione e un’arguzia bella… che spettacolo sentirti predicare!».
Anche monsignor Longhini ha voluto ricordare l’ultima riflessione preparata da don Stefano per la solennità dell’Ascensione del Signore e registrata in un video poi diffuso dopo la sua morte. «Sembra quasi il suo testamento», ha detto il Parroco di Livigno, riprendendo poi alcune delle parole del suo confratello: «Il tempo non sta a voi saperlo, voi dovete vivere nella vigilanza… preoccupatevi di vivere bene la vostra fede, di impegnarvi e dare il meglio di voi stessi nell’annunciare e testimoniare il vangelo senza preoccuparvi del giorno del mio ritorno. […] Non bisogna vivere con la testa fra le nuvole, è sulla terra che deve essere rivolto il nostro sguardo, perché è lì che siamo chiamati giorno dopo giorno a costruire qualcosa di nuovo secondo lo stile di Gesù».
Altri ricordi sul numero 22 de Il Settimanale, con due pagine dedicate a don Stefano Bianchi.