La città di Sondrio ha celebrato oggi i suoi santi patroni, i martiri Gervasio e Protasio. E l’occasione è stata colta dalla Comunità pastorale e dall’Amministrazione comunale per invitare alla Messa presieduta in collegiata dal vescovo, monsignor Oscar Cantoni, medici, infermieri, rappresentanti delle forze dell’ordine, della Protezione civile, della Croce rossa e del mondo del volontariato. A loro, «che in questo tempo di pandemia – ha affermato l’arciprete, don Cristian Bricola – hanno svolto il loro prezioso servizio per il bene degli altri», è stato rivolto un ringraziamento, che si è fatto preghiera. Nella quale la gratitudine è stata rivolta anche al Signore, perché la Valtellina è stata colpita meno duramente di altre zone dal coronavirus.
Al termine della celebrazione, in piazza Campello, il vescovo Oscar ha rivolto una preghiera di benedizione alla città e per quanti si sono spesi negli ultimi mesi nel servizio per il prossimo e per il bene comune, quindi ha asperso i mezzi delle forze dell’ordine, della Protezione civile e della Croce rossa.
Di seguito riportiamo il testo dell’omelia pronunciata durante la celebrazione da monsignor Cantoni, che in mattinata ha poi incontrato anche i giornalisti e gli operatori della comunicazione.
La festa dei santi Patroni coinvolge innanzitutto l’intera nostra Comunità cristiana, ma anche tutte le altre realtà che costituiscono la vita sociale e civile della Città.
Perciò il mio benvenuto è rivolto a tutti voi, impegnati a tanti livelli nel promuovere il bene comune, in un periodo molto drammatico del nostro vivere insieme.
Abbiamo sperimentato in questi mesi tanta sofferenza, unita a solitudine e senso di provvisorietà, che ha scompaginato le nostre abitudini e le nostre certezze. Siamo fraternamente vicini in particolare alle famiglie che hanno dovuto seppellire i loro parenti, senza una degna sepoltura.
La certezza della nostra fede, tuttavia, ci consola mentre ci assicura che “le anime dei giusti sono nelle mani di Dio” e se anche “la loro fine fu considerata una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, essi sono nella pace”. La pace di Dio è la ricompensa per tante persone a noi care, che non abbiamo potuto nemmeno salutare per l’ultima volta, ma di cui Dio conosce il loro valore nell’impegno per la famiglia, per il loro servizio nella società civile e per il loro coinvolgimento nella comunità cristiana.Nei giorni del lockdown ho fatto risuonare a tanti livelli una domanda precisa, intesa a dare un senso a quel tormentato periodo, perché non trascorresse invano e noi fossero capaci di generare un tempo nuovo, nella speranza che se “nulla sarà più come prima” è perché abbiamo appreso qualcosa in più e ci siamo accorti che molte vicende passate, e soprattutto abituali stili di vita, erano del tutto vuoti e insoddisfacenti.
Molte persone tra noi, con tanta generosità e larghezza di cuore, hanno messo a disposizione degli altri le proprie competenze, a tutela della salute fisica, psichica e spirituale delle persone, in una visione d’insieme per cui è tutto l’uomo di cui ci si deve prendere cura e non solo una parte di esso. Sono tanti i volontari che si sono adoperati per sollevare e aiutare i più fragili, quanti si sono fatti prossimi ai fratelli e alle sorelle, specialmente i più bisognosi, alle persone sole e anziane.
Un omaggio sincero va tributato a quanti si sono esposti a livello personale, rischiando così la propria vita. Anche noi abbiamo avuto perdite di medici, di infermieri, a cui va la nostra riconoscenza. Ci conforta il vangelo appena proclamato, dove il Signore Gesù ci insegna a confidare nella paternità di Dio, che si prende cura di tutti e ci invita a non avere paura: “Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate paura: valete più di molti passeri!”
Non abbiate paura: il Signore è con noi anche dentro le nostre travagliate realtà individuali e comunitarie. “L’inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli affondiamo, abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle”, ebbe a dire papa Francesco, in quel memorabile straordinario momento di preghiera sul sagrato della basilica di San Pietro del 27 marzo. “Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli, sperimenteremo che, con lui a bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai”.
Con questa certezza nel cuore, proseguiamo il nostro cammino, coniugando insieme solidarietà e preghiera, sostenuti da una inossidabile speranza, quella che viene da Dio.