“…far prevalere sempre il bene sul male, aiutarci sinceramente nelle difficoltà della vita e sentirci veramente tutti fratelli, perché la fratellanza è il nuovo nome della pace: o ci salviamo insieme o ci danniamo insieme. A noi questa grande responsabilità”.
Sono queste le parole con cui il vescovo Oscar Cantoni ha concluso, nella sera di mercoledì 15 settembre, il rosario di preghiera per don Roberto Malgesini, la sua famiglia e l’uomo che lo ha ucciso. Il Vescovo le ha pronunciate sulla soglia della Cattedrale: un messaggio rivolto non solo ai presenti, oltre un migliaio, ma all’intera città. Tra la folla chi portava una candela, chi dei fiori. Il volto di un popolo di nazionalità, estrazione sociale, appartenenza religiosa diversa.
Tutti insieme, commossi, per dire grazie al quel prete “mite e umile”, allergico ai primi posti, capace di dare la vita ogni giorno sempre con il sorriso sulle labbra.
Abbiamo pregato Maria, madre di Cristo e dei suoi discepoli, nel giorno in cui la Chiesa universale la venera come madre addolorata. Non è un caso se, proprio in questo giorno, il nostro don Roberto è passato da questo mondo al Padre, a causa di un gesto inconsulto di uno squilibrato. La vergine madre, Maria, lo ha preso oggi tra le sue braccia, come già fece con il suo figlio Gesù, staccato dalla croce.
Ha offerto don Roberto al Padre quale immagine reale di ogni sacerdote conformato al Figlio suo, dispensatore della misericordia di Dio. Anche la madre Chiesa che è in Como, accoglie tra le sue braccia il nostro don Roberto, insieme a noi, traumatizzati per la sua morte, ma fermi nella consolazione di Dio. Abbiamo tra noi un nuovo “martire della carità”, a volte incompreso, come già nel 1999 don Renzo Beretta, un altro prete che si è donato con larghezza a Cristo riconoscendolo nei poveri e accumunato alla stessa sorte di don Roberto.
Come Maria, che il vangelo di Giovanni presenta mentre “stava presso la croce di Gesù”, cosi don Roberto non è scappato davanti alle tante croci dei fratelli, non ha fatto grossi discorsi suoi poveri, non li ha distinti tra buoni e meno buoni, tra i nostri o gli stranieri, tra cristiani o di altre confessioni, ma si è prodigato con amore in totale umiltà, senza clamore e senza riconoscimenti di sorta. Amava agire in sordina, quasi di nascosto, in piena discrezione. Ricordo don Roberto come un prete felice. Felice di amare Gesù servendolo nei poveri, nei profughi, nei senza tetto, nei carcerati, nelle prostitute.
Nei poveri riconosceva “la carne viva” di Cristo, a cui si era donato attraverso uno speciale ministero che potremmo definire “di carità spicciola”, indirizzato alle persone singolarmente prese, a cui offriva tempo, energie, delicate attenzioni e premure, soprattutto un grande cuore.
I comaschi, quelli almeno che preferiscono gli occhi alle orecchie, ossia che riconoscono chi agisce concretamente, piuttosto di chi lancia proclami vuoti, nutrivano per lui una garbata ammirazione e non hanno mancato di riconoscere in lui un pastore degno di stima e di affetto.Mi stupiva quando, camminando con lui in città di Como, molti comaschi lo salutavano con simpatia. Questa sera Lo piangono anche i tanti suoi assistiti, di nazionalità, culture, religioni diverse. Nutrivano un grande rispetto e una profonda riconoscenza per lui, che classificavano facilmente come un padre, che aveva sempre tempo per ciascuno di loro.
Nei giorni scorsi ho additato suor Maria Laura Mainetti e padre Giuseppe Ambrosoli, i nostri due prossimi beati, come vite esemplari di discepoli, testimoni della misericordia di Dio. Oggi se ne aggiunge un altro, non meno valido e di estrema attualità, don Roberto. Egli riflette, dentro il clima disumano che in questo periodo spesso respiriamo, il segno vivo della tenerezza di Dio padre, che vuole fare della Chiesa del suo Figlio un ambiente di misericordia, dei figli della Chiesa degli umili suoi banditori e del mondo un luogo dove tutti si riconoscono fratelli. I giovani, che sono alla ricerca di testimoni veri ed autentici di piena umanità e che esigono dalla comunità cristiana figure presbiterali di autentico riferimento, hanno trovato in don Roberto una immagine di prete bella, schietta e serena, quella in cui possono identificare al meglio la nostra Chiesa e con lei impegnarsi a servizio di Cristo e dei fratelli.
È sempre valida e attuale l’affermazione di Tertulliano, un autore africano del secondo secolo, che ci ricorda come “il sangue dei martiri sia seme di nuovi cristiani”. Mentre san Luigi Guanella, nostro diocesano, diceva che “patimenti straordinari, grazie straordinarie”. Possa il sacrificio di don Roberto contribuire a promuovere quella cultura della misericordia che è lo scopo fondamentale del Sinodo che stiamo celebrando. Don Roberto dia nuovo impulso al nostro Presbiterio e a me stesso per poter ripartire con rinnovata forza d’animo e nuovo slancio pastorale con lo stesso gusto di carità che ha contraddistinto il suo ministero tra noi.
+ vescovo Oscar Cantoni