Nel pomeriggio del 2 febbraio il Vescovo monsignor Oscar Cantoni ha presieduto, in Cattedrale, a Como, il solenne pontificale nella ricorrenza della Festa della Presentazione, 40 giorni dopo Natale. Si tratta di un momento tradizionale di preghiera per tutta la Vita Consacrata. A causa delle restrizioni per il contenimento del coronavirus, quello in Duomo è l’unico momento celebrativo per tutta la diocesi. Tutte le persone di vita consacrata si sono unite nella preghiera anche attraverso il collegamento in streaming. Il 2 febbraio ricorrono anche i 100 anni dalla morte del beato cardinale Andrea Carlo Ferrari che, per tre anni, fu Vescovo di Como prima di diventare metropolita di Milano. Durante il pontificale del 2 febbraio il Vescovo Oscar indossava la croce pettorale del Vescovo beato. Qui di seguito il testo dell’omelia del Vescovo Cantoni.

«Oggi è la festa dell’incontro. Gesù, l’atteso Messia, entra umilmente, in un giorno qualunque, nel tempio di Gerusalemme, senza far rumore. Egli viene incontro al suo popolo Israele, la nazione dalle radici sante. Seguendo le indicazioni della Legge, i genitori di Gesù lo conducono per compiervi ciò che è prescritto. È accolto da due personaggi di secondo piano, umili e poveri, il santo vecchio Simeone, “uomo giusto e pio” e quindi la profetessa Anna, una donna modesta, “avanzata in età”, entrambe persone che “attendevano la consolazione di Israele”. Ci sono appuntamenti che si realizzano mediante un comune accordo, predisposto da tempo, ce ne sono altri, invece, che si combinano quasi causalmente, quando gli eventi sembrano combaciarsi, senza nemmeno bisogno di essere programmati. Di solito questi sono i più veri, perché di fatto sono gestiti dalla Provvidenza. È il caso dell’incontro di Gesù che entra nel Tempio di Gerusalemme, accompagnato da Giuseppe e Maria, al momento giusto, proprio quando Simeone e Anna sono presenti per il loro turno.

Anche la chiamata di ciascuno è giunta in un momento non programmato da noi, ma solo fissato da Dio, forse quando meno l’avremmo immaginata, ma è Lui stesso che ha preso l’iniziativa ed è stato un segnale che solo in seguito abbiamo riconosciuto come “occasione di salvezza”, portatrice di gioia e di pace, frutto della gratuita chiamata di Gesù. Il Messia di Israele, venuto per visitare e redimere il suo popolo, atteso dai poveri, non ha niente di particolare che lo distingua. È un semplice bambino, piccolo e indifeso, Lui, il Figlio di Dio, che non ha disdegnato di assumere la nostra natura umana. Eppure Simeone ed Anna, due persone illuminate dallo Spirito Santo, lo riconoscono come “luce delle genti”, Colui che hanno invocato con ardenti preghiere e suppliche lungo tutto il corso della loro vita. Godono la consolazione di Dio, che premia la loro fedeltà nella perseverante attesa.

Gli occhi della fede permettono di intravvedere ciò che è irriconoscibile con i soli occhi umani. Questi due anziani accolgono stupefatti i doni di Dio, che realizza sempre le sue promesse. La fede non si limita a descrivere i fatti, ma li sa anche interpretare con la mente e il cuore di Dio. Con il dono della fede anche noi abbiamo ricevuto la luce per vedere ciò che altri non riescono a vedere, ossia la grazia di Dio all’opera. Nella fede è dunque possibile riconoscere, come ci ricorda Papa Francesco, che “La vita consacrata, se resta salda nell’amore di Dio, vede la bellezza. Vede che la povertà non è uno sforzo titanico, ma una libertà superiore, che ci regala Dio e gli altri come le vere ricchezze. Vede che la castità non è una sterilità austera, ma la via per amare senza possedere. Vede che l’obbedienza non è disciplina, ma la vittoria sulla nostra anarchia, sullo stile di Gesù”.

Il santo vecchio Simeone vedendo il piccolo e umile Gesù si riconosce lui stesso come servo del Signore: “Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace”. Servo è il titolo di maggiore benemerenza usato nella Scrittura. Servo è chi, volgendo lo sguardo su Gesù, “che è “venuto per servire e non per essere servito”, concepisce la propria vita come servizio, nel dono totale di sé. Chi vive per servire sa reinventarsi continuamente, trova sempre nuovi spazi per mettersi a disposizione di tutti. Chi vive per servire diventa creativo, non tiene le distanze dagli altri, non reclama spazi e diritti, non si lascia mai invadere dalla tristezza e dalla sfiducia. Chi vive per servire accetta la comunità in cui è stato inviato, senza illudersi che altrove, in un luogo più favorevole alle sue attese, tutto sarebbe meglio per lui e più vantaggioso per tutti.

I miei occhi han visto la tua salvezza”. Chi ha familiarità con lo Spirito Santo possiede uno sguardo di speranza, che è sguardo di compassione che incoraggia, libera e consola. E’ lo stesso sguardo di Gesù che si abbassa verso ognuno di noi. Prendiamo anche noi, come il santo vegliardo Simeone, Gesù tra le braccia, lasciamoci teneramente amare, sperimentando in abbondanza la sua tenerezza. Solo chi sa di essere amato da Gesù riversa sui suoi fratelli e sorelle le sue cure, perché riconosce in ciascuno il volto stesso di Cristo. L’incontro di Gesù, in questa celebrazione liturgica, sia per tutti noi sorgente di luce, di pace e di pienezza di vita».

+ Oscar CANTONI, Vescovo