Si intitola “Unplanned”, cioè “non previsto”, ma anche “indesiderato”, ed è un film statunitense che racconta la vera storia di Abby Johnson, ex dipendente dell’organizzazione di cliniche abortive più potente al mondo, la “Planned Parenthood”. Il film, anche grazie all’impegno dei Centro Aiuto alla Vita di Como e di Appiano Gentile, del Centro Culturale Paolo VI di Como e dell’Associazione “Pro Vita&Famiglia” della provincia di Como, sarà proiettato all’Uci Cinemas di Montano Lucino in un’unica data: lunedì 29 novembre, alle ore 19.00 e alle ore 21.00. La pellicola, vietata ai minori di 14 anni per alcune scene definite “scientificamente non realistiche”, si ispira al libro che la stessa Abby Johnson ha pubblicato nel 2015: “Scartati – la mia vita con l’aborto”.

Da paladina dei diritti delle donne, la Johnson viveva il suo lavoro come una sorta di missione. Questa dedizione le permise di fare una rapida carriera (tanto da essere premiata, nel 2008, come «dipendente dell’anno»), ottenendo la direzione della principale clinica del Texas. Abby entrò nella “Planned Parenthood” prima come volontaria, poi come operatrice per il sostegno psicologico, quindi come consulente. Il nome della rete di cliniche, tradotto alla lettera, significa “Genitorialità pianificata” e si presenta come realtà a difesa della salute della donna: il titolo della pellicola, “Unplanned”, gioca sulla distorsione del nome stesso dei centri abortivi, volendo indicare, da subito, come sia deformato anche il messaggio veicolato nei confronti delle donne.

La prospettiva di Abby sul suo lavoro e sulle sue scelte di vita mutò improvvisamente una mattina del 2010. Quel sabato, giorno fitto di appuntamenti, per una carenza di personale infermieristico la Johnson si trovò a coadiuvare un medico in una procedura di aborto, una pratica che lei stessa, per due volte, aveva intrapreso e consigliato, per diversi anni, alle donne che le avevano chiesto aiuto e consiglio. Decine di volte aveva pronunciato frasi come: «è solo un mucchietto di cellule», «il prodotto presente in utero non prova nulla». Ma ciò che vide sullo schermo in sala operatoria cambiò la sua esistenza per sempre, dandole la forza e il coraggio per intraprendere una delle battaglie più importanti di tutti i tempi. Uscì da quella stanza sconvolta, maturando la decisione, immediata, di lasciare la “Planned Parenthood” (che per questo motivo la denunciò, perdendo, però, la causa), diventando una convinta e convincente attivista contro l’aborto e in difesa della vita.

“Unplanned” in America ha scosso gli animi raccogliendo, al suo debutto, ben 6,4 milioni di dollari al botteghino e il quarto posto al box office. Il film è diretto da Cary Solomon e Chuck Konzelman ed è interpretato da Ashley Bratcher, Brooks Ryan, Robia Scott. Boicottato dalle grandi catene di distribuzione e censurato in molti Stati degli Usa (oltre che in Canada). Alla fine, solo negli Stati Uniti gli incassi di “Unplanned” hanno superato i 21 milioni di dollari e ancora maggiore è stato il successo in formato dvd, tanto da essere stato, nel 2019, con 235mila copie, il più venduto su Amazon. Oltreoceano è risultato vincitore di decine di premi. In Italia è distribuito dalla Dominus di Federica Picchi, che sarà presente a Como in occasione della serata di proiezioni. Nel nostro Paese l’uscita del film è stata rallentata dal Covid. Nelle sale la pellicola è arrivata a fine settembre e, in ogni occasione, in tutte le regioni italiane, ha sempre registrato il tutto esaurito. «“Unplanned” – è il commento della Picchi – è un film vero, forte, commovente. Racconta una storia vera e, come tale, unica, che abbraccia punti di vista diversi e favorisce una grande apertura mentale. Sono felice di aver portato in Italia un film capace di rompere una cornice di fastidioso silenzio su un argomento di così vitale importanza. C’è chi ha provato a screditarlo definendo “ascientifiche” alcune scene del film, ma tutti i medici consultati hanno confermato la veridicità di quanto raccontato».

Parlare di aborto è sempre complicato. «Nessuno punta il dito contro le donne, che si trovano, il più delle volte da sole, ad affrontare una scelta difficilissima». Lo dice convinta Daniela Matarazzo, presidente del Centro Aiuto alla Vita di Como. I dati dell’ultima relazione al Parlamento, fatta dal ministro della salute Roberto Speranza, sull’applicazione della legge 194, evidenzia una diminuzione significativa delle interruzioni di gravidanza, mentre per quanto riguarda le “caratteristiche” delle donne sono concentrate nella fascia 30-35 anni, occupate e non coinvolte in una relazione affettiva stabile. «I numeri della relazione – spiega Matarazzo – non tengono conto del fai-da-te, di tutte coloro, specie giovanissime, che ricorrono alle pillole abortive. Come Centro Aiuto alla Vita non abbiamo la possibilità, ad esempio, di essere presenti all’interno dell’Ospedale Sant’Anna di Como, sebbene siano dieci anni che lo chiediamo. E anche i consultori, spesso, non illustrano alle donne tutte le prospettive a loro disposizione e tutte le possibilità di sostegno alla maternità. Una volta ottenuta la certificazione per l’aborto, la donna ha una settimana per ripensarci. Sette giorni lunghissimi nei quali affrontare in solitudine un dilemma esistenziale». Daniela parla di un vero e proprio «sottobosco di sofferenza, che non tutela la maternità né la salute psico-fisica della donna». Mancano all’appello, in Italia, 70mila bambini: «la donna si trova a dover scegliere tra un figlio o un compagno. Oppure, a volte, l’uomo, che vorrebbe prendersi cura del figlio, ma non ha voce in capitolo e la compagna sceglie per l’aborto». Al di là dei proclami «è difficile parlare di libertà di scelta», a partire dal fatto che «da subito, quella nel grembo materno, è il massimo di vita che ci possa essere – conclude Matarazzo –, perché sì, è vero, sono cellule: che si stanno moltiplicando, stanno crescendo, si stanno formando». È vita. Punto.

ENRICA LATTANZI