Un incontro toccante che, ne siamo convinti, resterà a lungo impresso nella memoria dei circa 250 studenti comaschi che questa mattina, nel corso di due incontri, hanno avuto l’opportunità di ascoltare la testimonianza di Salvatore Attanasio, papà di Luca Attanasio, l’ambasciatore italiano assassinato in Repubblica Democratica del Congo il 22 febbraio 2021. Insieme a lui hanno perso la vita anche il carabiniere Vittorio Iacovacci, e l’autista del World food Programme, Mustapha Milambo.

Salvatore Attanasio ha raccontato ai giovani presenti la storia di un “ragazzo di oratorio” che aveva il sogno di diventare ambasciatore. Un uomo delle Istituzioni – “perché questo era mio figlio Luca” – che ha servito il nostro Paese prima in Svizzera, poi in Marocco e, infine, in Repubblica Democratica del Congo, dove ha trovato la morte.

«Luca era un ragazzo che aveva tanti sogni e una generosità fuori dal comune. Ovunque sia andato ha cercato di vivere il suo servizio stando sempre dalla parte dei più fragili, in una prospettiva di servizio e non di potere. Era consapevole di essere un privilegiato e per questo cercava sempre di farsi promotore di giustizia e di aiutare le persone e le realtà che incontrava».
Una storia quella di Luca Attanasio che ha avuto un epilogo doppiamente triste: non solo per la sua morte cruenta, avvenuta sotto i colpi di un commando armato, a pochi chilometri a nord di Goma, nell’est del Congo, dove l’ambasciatore si trovava per visitare alcuni progetti del PAM (Programma Alimentare Mondiale), ma perché la verità su quanto accaduto non è ancora stata fatta.
«Ci sono tante, troppe cose, di quel giorno che non tornano – confida papà Salvatore -: come capire perché non fosse stata garantita al convoglio di Luca la scorta che normalmente si riserva agli ambasciatori. Il 13 febbraio a Roma è fissata l’udienza preliminare del processo contro i vertici del PAM ritenuti responsabili di quanto accaduto, ma non è detto che il giudice darà luogo a procedere».
In Congo un processo sbrigativo ha condannato all’ergastolo cinque banditi per l’agguato – un sesto è stato rilasciato ed è stato ucciso di lì a poche settimane -, senza spiegare né il movente né tantomeno la dinamica. A quasi tre anni di distanza dall’agguato, nonostante le indagini del Ros e della procura di Roma, non si sa ancora come siano andate davvero le cose.
Ad aggiungere dolore al dolore c’è la scelta dello stato italiano di non costituirsi parte civile al processo in corso.
«Ci sentiamo abbandonati da quelle stesse istituzioni per cui Luca ha dato la sua vita – conclude Salvatore Attanasio -. E’ come se allo stato non interessasse la verità su quanto accaduto».

Il racconto completo sul Settimanale della prossima settimana.