Nel corso della veglia missionaria che si terrà sabato 18 ottobre, alle 20.45, nella chiesa di San Bartolomeo a Como, Marina Leoni, appartenente all’Ordo virgiunum diocesano, riceverà il mandato missionario dalle mani del vescovo Oscar Cantoni. Un momento molto significativo, vissuto alla vigilia della Giornata missionaria mondiale, che sottolinea l’invito a partire per il Mozambico non a titolo personale ma come espressione di un’intera Chiesa. Alla viglia di questo appuntamento e della prossima partenza per l’Africa – prevista per l’inizio del 2026 – abbiamo chiesto a Marina di raccontarsi.

Marina, come ci si prepara a partire per la missione?
«Sto frequentando a Verona il corso del CUM (Centro Unitario Missionario) per la formazione missionaria, in vista della partenza per la missione di Mirrote, dove già operano don Filippo Macchi e don Angelo Innocenti. Siamo un gruppo di 24 futuri missionari: alcuni giovani partiranno per brevi periodi, altri per tempi più lunghi. In cinque siamo destinati al Mozambico. Per quanto riguarda i temi stiamo, da una parte, lavorando su noi stessi e sulle motivazioni del nostro partire, dall’altra approfondendo la
storia del continente africano – o meglio, delle “Afriche”, perché ridurle a un’unica realtà sarebbe improprio – la sua cultura e le religioni. Il corso si concluderà il 17 ottobre, appena in tempo per il mandato che riceverò il 18 a San Bartolomeo: sarà la conclusione del periodo di formazione e l’inizio del tempo della possibile partenza, prevista – burocrazia permettendo – per gennaio prossimo».

Guarda il video-messaggio di Marina

Papa Francesco nel messaggio per la GMM di quest’anno ci ricorda che “l’evangelizzazione è sempre un processo comunitario”. Quanto è importante per te vivere questa partenza come espressione di un’intera Chiesa che invia?
«Una frase di Giovanni Paolo II che non perde mai il suo valore è “la fede si arricchisce donandola”. Senza la Chiesa locale, senza persone concrete di una parrocchia, san Bartolomeo in Como, senza giovani coetanei con cui sono cresciuta in oratorio, senza preti, in particolare don Daniele Andreani, strumento ineguagliabile per umiltà e apertura missionaria, senza tanti testimoni credibili come frére Roger, i Gen Rosso, papa Giovanni Paolo II e molti altri, senza la vita dei santi, specialmente Piergiorgio Frassati, (e molti altri!) io non sarei cristiana in cammino, non sarei consacrata nell’Ordo virginum sempre chiamata ad “uscire” da sé.
Negli anni di servizio pastorale, nel lavoro come insegnante e nell’accoglienza in casa di un ragazzo albanese negli ultimi sette anni, mi ha mosso sempre un enorme senso di gratitudine alla Chiesa diocesana e non solo. Molte volte mi commuovo perché vorrei che il bene che sento di aver ricevuto dalle mani del Padre, dalle mie mani, seppur piccole, ricolmi fratelli e sorelle in ogni parte del mondo. Quindi perché la speranza non sia campata in aria, io faccio e farò la mia parte e sarebbe bello che ciascuno si assumesse le sue responsabilità con amore e apertura del cuore».

L’intervista completa su Il Settimanale in uscita questa settimana [acquista qui la tua copia digitale]