Sabato 25 marzo si celebra il 60esimo anniversario della stipula dei Trattati di Roma, con i quali vennero istituiti la CEE e l’Euratom: le cellule embrionali dell’Unione Europea. Accordi maturati in un continente che solo quindici anni prima era stato teatro di una sanguinosissima guerra fratricida, patti che nacquero per motivi economici, in un contesto dove lo sviluppo dei Paesi era molto dipendente dagli Stati Uniti, ma che portavano in sé un’aspirazione alla fratellanza, per la costruzione di una pace vera, duratura, rispettosa dei popoli. Nei giorni scorsi abbiamo intervistato su questo e su molti altri argomenti di taglio “europeo” monsignor Duarte da Cuhna segretario generale del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (CCEE). Tra l’altro, padre Duarte, lo scorso 22 marzo, è stato ospite della nostra diocesi, a Como, nell’ambito degli incontri “Pensieri al Centro”.

20170322_211757

La Chiesa cattolica come guarda all’anniversario dei Trattati di Roma, una ricorrenza che, da più parti, si auspica possa rappresentare un punto di rinascita per un’Unione europea attraversata da divisioni e populismi?

«Dal pontificato di san Giovanni Paolo II, e poi ancora con papa Benedetto XVI, e oggi con il Santo Padre Francesco, non solo la Chiesa cattolica sostiene, ma spinge, appoggia, promuove tutto quello che è un progetto di Europa. Naturalmente non si tratta di un programma “generico”. Da parte della Chiesa ci sono l’entusiasmo e la preoccupazione di vedere ri-pensato il grande ideale di Unione Europea. In questi sessant’anni abbiamo registrato l’affermarsi di movimenti, di opinioni, di prospetti che hanno modificato, anche profondamente, gli orientamenti dei Padri fondatori. Quindi ci sono questioni che attualmente ci appaiono confuse. Allo stesso tempo l’allargamento dell’Unione a Est ha introdotto, in questa complessità già esistente, problemi nuovi. Non lo dico con spirito negativo. Tutt’altro, perché possiamo affermare che oggi abbiamo la possibilità di vivere “un’Europa dai due polmoni”, grazie a realtà, che per la loro storia e la loro costituzione socio-politica, hanno introdotto diversità significative e arricchenti dal punto di vista culturale ed economico. La Chiesa vede dunque con molto interesse al progetto europeo. Ma sente che i tempi obbligano a una revisione di metodi e finalità… e, soprattutto, sente che si devono recuperare e rispettare le radici cristiane del nostro continente. Perché la progettualità europea – e questo, a mio avviso, è stato e continua a essere uno degli errori della classe politica –non riguarda solamente quello che si farà nel futuro, ma deve partire da quello che già c’è e che abbiamo in comune: ovvero le radici, lo sfondo storico, culturale e religioso dell’Europa, fortemente intriso di cristianità. Senza la consapevolezza di questo nostro percorso condiviso, corriamo il rischio di far prevalere le differenze. Rispettare le radici significa rispettare la diversità dei popoli, delle culture, delle economie. Un rispetto che si innesta e si sviluppa in una logica di solidarietà e non di concorrenza, per sostenersi, aiutarsi, valorizzare, gioire per le differenze, per la molteplicità di lingue, tradizioni, storie. Un progetto omologante avrebbe i giorni contati, non avrebbe futuro».

Non perdete l’intervista integrale sul numero 12 del nostro Settimanale!