«Un condensato delle opere di misericordia»: così mons. Paolo Rizzi, postulatore della Causa di Beatificazione di Teresio Olivelli (per conoscerlo meglio clicca qui), ha definito il “Ribelle per amore” comasco la scorsa settimana, in occasione della sua visita a Tremezzo per una conferenza a chiusura dell’anno centenario della nascita del Venerabile. Per l’occasione il cineteatro della parrocchia di Tremezzo era affollato di Alpini, di aderenti all’Associazione Partigiani (alcuni venuti apposta dal Lecchese), di semplici cittadini oltre che di rappresentanti delle Forze dell’Ordine e delle Amministrazioni vicine. A mons. Rizzi (originario della Lomellina dove fu parroco per alcuni anni, poi “ceduto” dalla sua Diocesi alla Segreteria di Stato Vaticana che aveva bisogno di giovani preti brillanti per prepararsi al Giubileo del 2000) il compito di riassumere la breve ma densissima esistenza di Olivelli (solo 29 anni) «non solo partigiano, non solo alpino» ma cristiano convinto, un laico esemplare che fin dall’infanzia ha esercitato le virtù cristiane soprattutto aiutando e difendendo i più deboli (poveri, malati, oppressi…).
Com’era stato aderente al fascismo molto sui generis (sperava di “cristianizzarlo” dall’interno) sarà anche un resistente sui generis: dai suoi scritti e in particolare dagli articoli pubblicati sul giornale Il Ribelle emerge chiaro come per lui di fronte all’odio, di fronte all’oppressore, si debba “opporre la carità sorridente”. Dai documenti dei servizi segreti della Repubblica di Salò emerge che fu arrestato non in quanto combattente (non prese mai le armi) ma quale esponente di spicco del mondo cattolico in contrasto con l’ideologia fascista, associato all’ambiente della Curia milanese (definita “una piaga”), e in quanto provocatori di coscienze questi cattolici di “una strana corrente di ribellismo clericaloide” erano i peggiori oppositori del regime e andavano perseguitati ed eliminati. Olivelli fu quindi perseguitato per la sua fede, non tanto come avversario politico; e anche nel campo di concentramento era costantemente bersagliato per la sua opera cristiana a favore dei compagni di prigionia; inoltre chiese lui stesso di essere inviato al campo di sterminio di Hersbruck per dare conforto spirituale laddove non c’era cappellano o sacerdote.
Queste scoperte hanno permesso a mons. Rizzi di stendere un “Supplemento di istruttoria” (che va ad aggiungersi alle 1650 pagine della Positio sulla vita e le virtù) in favore della tesi del martirio in odium fidei, inizialmente rigettata dalla Congregazione per le Cause dei Santi e poi rilanciata qualche anno fa proprio dai vescovi lombardi durante l’ultima visita ad limina a Papa Benedetto XVI. I tempi burocratici saranno ancora lunghi (forse un anno e mezzo se non vi saranno intoppi), ma ci sono forse tutte le premesse per una Beatificazione anche in assenza di una qualche guarigione miracolosa.
Attualissimo il messaggio di questo laico che «diede se stesso per una società di pace», pregando e facendo pregare “affinché il Signore affretti il giorno della sua misericordia”.