“O Roma, o Cristo”. Questo il titolo, forte, incisivo, già molto eloquente, dell’ultimo saggio a firma di monsignor Saverio Xeres, sacerdote della diocesi di Como, docente e storico della Chiesa. Un testo di ricostruzione storica e documentale sulla Riforma luterana, pubblicato in questo 2017 nel corso del quale ricorrono i 500 anni da quel doloroso strappo.

O-Roma-O-Cristo-Saverio-Xeres-libro-LuteroI fatti ci portano in Germania, nel Wittenberg, al 31 ottobre 1517. Martin Lutero, monaco e teologo tedesco, affigge alla porta di una chiesa 95 “tesi” di durissima critica alle indulgenze. Secondo l’opinione comune è l’inizio di una ribellione alla Chiesa di Roma che sfocerà nella Riforma protestante. Ma le cose non andarono esattamente così. Tanto per cominciare, le famose 95 “tesi” verosimilmente non furono mai esposte in pubblico. E soprattutto, Lutero non era un irriducibile ribelle, ma un uomo di fede intensa che, dopo anni di incomprensioni e attacchi pretestuosi da parte dei suoi avversari “romani”, ritenne impossibile rimanere in quella Chiesa che, fino a quel momento, era stata anche la sua: o Roma o Cristo. Una magistrale ricostruzione degli eventi che portarono Lutero, suo malgrado, allo scontro con Roma, ma anche una intensa riflessione sul senso attualissimo di eventi storici che parlano all’oggi della Chiesa e del mondo.

Il libro, edito da “Ancora”, conta 156 pagine e ha un prezzo di copertina di 15 euro. Sul numero 6 del nostro “Settimanale”, in distribuzione con la data di giovedì 9 febbraio, Arcangelo Bagni ci propone la sua recensione del testo. Qui di seguito vi suggeriamo la lettura di una riflessione del nostro direttore, don Angelo Riva.

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Il libro merita anche solo per la prosa, intensa e fluente, semplice e profonda, com’è nello stile di don Saverio. Merita ancor più per il tema, che affronta un passaggio strategico della nostra storia in modo accattivante e accessibile a tutti (par quasi un thriller, lo si legge tutto d’un fiato). Merita infine per la precisione della ricostruzione storica – a cui don Saverio ha dedicato un bel pezzo della sua carriera accademica –, che fa luce sulla personalità di Lutero e sulle vicende dello strappo con Roma al di là dei luoghi comuni della storiografia confessionale. Lo strappo fra Roma e Lutero, e la conseguente divisione fra cattolici e riformati, è stato indubbiamente un capolavoro del Maligno, di cui il Divisore può ancor oggi menar vanto, visto lo strascico di danni e di lutti che ha suscitato. Chi ha sbagliato? E come è stato possibile, per uomini ecclesiastici di indubbia levatura, cadere nel tranello? Leggendo il libro di don Saverio si consolida l’impressione che il Padre eterno, l’unico che scruta fino in fondo i cuori e le coscienze (noi vediamo solo le azioni esterne), avrà il suo bel da fare all’atto del rendiconto finale. Fra, da una parte, una curia romana persa nel labirinto di un inserimento nella storia sempre a rischio di produrre una scandalosa mondanizzazione del vangelo, anziché l’auspicata evangelizzazione del mondo; e, dall’altra, un monaco agostiniano eccellente per scienza e spiritualità (e qui la ricostruzione di don Saverio mette ordine fra evidenti storpiature interpretative), ma non immune – almeno da un certo punto in avanti – dal demone dell’orgoglio e della superbia. Che, si sa, è il primo dei vizi capitali, e ne guasta più lui della lussuria e dell’avarizia messe insieme.

In altri termini, le domande che il libro mi ha fatto sorgere sono queste. Come è stato possibile che predicatori d’accatto abbiano potuto contraffare così clamorosamente la dottrina e la prassi delle indulgenze? Perché fiorenti teologi del tempo non lo hanno impedito? Fino a provocare la reazione sdegnata di un monaco integerrimo, desideroso di difendere non solo la verità delle indulgenze, ma anche la Chiesa e il Papa, che dal malaffare diffuso ne usciva lui stesso dileggiato. Come è stato possibile che questioni economiche (le crescenti esigenze della fabbrica di san Pietro) e politiche (la successione alla corona imperiale) abbiano fatto così pesantemente aggio sulle ben più fondamentali questioni teologiche e religiose? Non poteva il cardinal Gaetano, al tempo del fallito incontro chiarificatore di Augusta, capire meglio le ragioni del giovane monaco agostiniano? Avrebbe dovuto Martin Lutero, ad un certo punto, fare un passo indietro, e accettare, se non una pubblica ritrattazione delle sue tesi, almeno un sofferto silenzio (dentro una probabile scomunica), pur di non causare un danno maggiore alla Chiesa attraverso uno scisma? Domande, se vogliamo, senza senso, perché non è con i «se» e con i «ma» che si ricostruisce la storia. Materiale utile, però, per la nostra riflessione odierna. E per il Padre eterno nel giudizio finale.