Pubblichiamo di seguito l’editoriale di mons. Angelo Riva tratto dal Settimanale in uscita.
Cominciamo dai fatti. Un sacerdote della nostra Diocesi viene accusato pubblicamente di comportamenti immorali, di carattere sessuale, relativi ai primi anni della sua formazione presso il Pre-seminario dell’Opera don Folci, in Vaticano.
Ad accusarlo tre compagni liceali, nessuno dei quali approdato agli anni della formazione teologica. Due di loro hanno voluto mantenere l’anonimato, il terzo invece si è esposto pubblicamente, rivelando anche il proprio orientamento omosessuale. Le accuse di comportamenti immorali – non formalizzate in un esposto all’autorità giudiziaria – sono state rese pubbliche in un libro e da una trasmissione televisiva.
I responsabili della formazione sacerdotale, chiamati ad accertare l’idoneità del sacerdote accusato, affermano di essere stati a conoscenza e di aver adeguatamente verificato e valutato i fatti contestati. Per questo vengono a loro volta accusati di aver minimizzato, o addirittura insabbiato, il caso.
Il vescovo Oscar, nel suo messaggio alla diocesi, ha citato il vangelo: «chi opera la verità viene alla luce». Più modestamente la mia nonna diceva che le bugie hanno le gambe corte.
C’è quindi una chiarezza da fare. Abbiamo anche noi una «glasnost» (“trasparenza”) che ci attende. Con libertà, serenità, umiltà, massima determinazione e nessuna reticenza.
La verità però la si fa a tutto tondo, comprendendo molti aspetti, non sempre facilmente semplificabili dentro l’occhio di un obiettivo. Così è verità riconsiderare l’iter di valutazione del sacerdote ordinato, alla luce dei nuovi elementi intervenuti, ma anche valutare l’attendibilità degli accusatori. Nulla impone di dubitare della veridicità dell’istruttoria compiuta – fra l’altro da un’istituzione benemerita, che ha nel tempo sfornato ottimi sacerdoti –, ma solo fino prova contraria.
E’ verità il diritto/dovere di cronaca, ma anche la tutela della buona fama delle persone.
E’ verità la denuncia mediatica dei comportamenti immorali, ma anche metodologie di indagine giornalistica rispettose della dignità e della riservatezza delle persone.
E’ verità l’intransigenza sul peccato (e tra parentesi è pure un bene che, nella società liquida del relativismo etico, si torni a stigmatizzare l’immoralità di certi comportamenti), ma è verità anche tutelare il peccatore dalla gogna mediatica. E lo è anche stare attenti a che la verità non venga usata come fango, e scagliata come pietre.
C’è poi l’aspetto che ci sta forse più a cuore, ed è quello pastorale. C’è chi sta soffrendo. C’è il disorientamento della gente, l’afflizione di alcune comunità colpite più da vicino, il discredito da parte di molti – giovani soprattutto – che si sentono attratti dal vangelo, ma traditi dagli uomini di Chiesa.
Questi danni sono – purtroppo lo sappiamo – indelebili nella società mediatica, anche se arrivassero piogge di assoluzioni o ridimensionamenti, o risarcimenti per calunnia e diffamazione.
Qui c’è, allora, una sola cosa da fare: pregare, e convertirsi. Non importa se ci diranno che così ce la caviamo a buon mercato, con un «Pater Ave Gloria». I cristiani sanno che solo Dio salva, le loro stesse infedeltà non fanno che confermarlo. Basterebbe poi fare noi un po’ più i bravi, e gli accusatori (non tutti: Cristo sulla croce c’è finito lo stesso) non troverebbero pane per i loro denti.
don Angelo Riva